Con la sentenza n. 137 del 2020, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 280, co. 1, e 391, co. 5, c.p.p., sollevate dal Tribunale ordinario di Firenze, in riferimento agli artt. 3 e 13 Cost.: l’art. 391, co. 5, c.p.p., nella parte in cui prevede che quando l’arresto è stato eseguito per uno dei delitti indicati nell’art. 381, co. 2, c.p.p. l’applicazione della misura cautelare personale è disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dagli artt. 274, co. 1, lett. c), e 280 c.p.p.; l’art. 280, co. 1, c.p.p., nella parte in cui, nel prevedere i requisiti di applicazione delle misure coercitive, fa salvo il disposto dell’art. 391 c.p.p.
Ricostruita l’evoluzione normativa della disciplina dell’arresto facoltativo in flagranza e di quella relativa alle condizioni di applicabilità delle misure coercitive, la Consulta ha anzitutto evidenziato un difetto di coordinamento tra le disposizioni censurate, derivante dalla circostanza che solo per i delitti tassativamente indicati dall’art. 381, co. 2, c.p.p. è oggi possibile l’applicazione, in sede di convalida, delle misure cautelari coercitive in deroga agli ordinari limiti edittali, mentre per i delitti, consumati o tentati, di cui al precedente co. 1, per i quali la pena edittale massima sia compresa tra i tre anni e i quattro anni, non è possibile applicare la misura degli arresti domiciliari (§ 4.1., Considerato in diritto). Proprio muovendo da questo quadro normativo, il rimettente ha dubitato della legittimità costituzionale degli artt. 391, co. 5, e 280, co. 1, c.p.p. La Corte ha peraltro rilevato che, nel motivare il dubbio di incostituzionalità delle norme censurate, il rimettente muoveva da un erroneo assunto interpretativo, consistente nel fatto che ad operare quale presupposto per l’applicazione delle misure cautelari di cui all’art. 391, co. 5, II per., c.p.p. sia il fatto costituito dall’arresto e non, invece, l’intervenuta convalida della misura precautelare. Solo la verifica della legittimità dell’arresto effettuata dal giudice, idonea a preservare la natura di esso come istituto eccezionale di stretta interpretazione, può operare infatti come presupposto in grado di attribuire al medesimo giudice il potere di pronunciarsi in materia cautelare anche in deroga rispetto agli ordinari limiti edittali (cfr., sent. cost. n. 4 del 1992; ord. n. 187 del 2001).
Pertanto, le norme censurate – ha asserito il Giudice delle leggi – rientrano nell’ambito riguardante la determinazione dei casi eccezionali di necessità e urgenza in cui possono essere adottati provvedimenti provvisori limitativi della libertà personale ai sensi dell’art. 13, co. 3, Cost. (sent. cost. n. 188 del 1996; ord. n. 187 del 2001), intesa anche quale riflesso della discrezionalità del legislatore nella conformazione degli istituti processuali in materia penale.
La Corte ha dunque affermato la non manifesta irragionevolezza delle norme censurate, perché con esse il legislatore ha ritenuto, non impropriamente, che possa essere esclusa la liberazione dell’arrestato ove specifiche esigenze cautelari impongano il mantenimento della restrizione della libertà personale, senza che a tale esito possano essere di impedimento soglie edittali più basse rispetto a quelle ordinarie. E, infatti, i delitti tassativamente elencati dall’art. 381, co. 2, c.p.p. sono apprezzati dal legislatore come di particolare allarme sociale (cfr., § 4.2.1., Considerato in diritto).
Quanto all’ulteriore profilo di illegittimità costituzionale relativo all’asserita disparità di trattamento, ai fini dell’applicazione delle misure cautelari, tra chi è accusato di uno dei delitti elencati dall’art. 381, co. 2, c.p.p. e chi invece è accusato di una delle categorie di delitti di cui all’art. 381, co. 1, c.p.p., la Consulta ha rilevato come il giudice rimettente abbia posto a raffronto situazioni marcatamente eterogenee tra loro, sia per struttura che per ratio normativa.
Del resto, fermo rimanendo il rispetto dei principi costituzionali attinenti alla tutela della libertà personale e, in particolare, del principio di tassatività (art. 13, co. 3, Cost.), la Corte ha ribadito come, nella materia de qua, spetti al legislatore il compito di individuare presupposti e condizioni per l’esercizio dell’azione punitiva dello Stato.
Peraltro, i Giudici della Consulta non hanno mancato di rilevare i profili problematici connessi alla deroga ai limiti edittali previsti per l’adozione delle misure coercitive. Tenuto conto, infatti, delle numerose modificazioni che ha subìto la disciplina oggetto di censura, la Corte ha ritenuto auspicabile un intervento del legislatore volto a ricondurre il rapporto tra misure precautelari e misure cautelari coercitive all’originario coordinamento quanto ai presupposti per la loro adozione.