Pubblicato in: Giurisprudenza Costituzionale

Misure di prevenzione - Corte cost., n. 24 del 2019

D. Piva

Corte cost

La Corte dichiara l’illegittimità delle misure di prevenzione alle persone che “debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dedite a traffici delittuosi” – Corte cost. n. 24 del 2019

Con la sentenza n. 24/2019, all’esito dell’udienza del 24 gennaio scorso la Corte Costituzionale - nel decidere sulle questioni sollevate con tre diverse ordinanze di rimessione, rispettivamente del Tribunale di Padova, della Corte d’appello di Napoli e del Tribunale di Udine – al netto di alcune inammissibilità e pronunce consequenziali, ha dichiarato l’illegittimità, rispetto all’art. 117, primo comma in relazione all’art. 2 Prot. add. n. 4 CEDU e l’art. 25, terzo comma, Cost. (cui si aggiunge poi l’art. 13 cpv. Cost.), per quanto attiene alla misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza nonché all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1 Prot. add. CEDU (“proprietà privata”) e all’art. 42 Cost., per quanto attiene alle misure di prevenzione patrimoniali del sequestro e della confisca, degli artt. 1, lett. a), 4, comma 1, lett. c) e 16 d.lgs. 159/2011, nella misura in cui consentono l’applicazione di misure di prevenzione personali (da parte del questore o dell’autorità giudiziaria) e reali (sequestro e confisca) a coloro che “debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi”, rigettando analoga questione posta con riguardo all’ipotesi di cui all’art. 1, lett. b), d.lgs. 159/2011, riferita a coloro che, “per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose”. Ricostruita, preliminarmente ma significativamente, anche in prospettiva storico-evolutiva, la natura giuridica delle misure di prevenzione, rispettivamente in ottica preventiva per quelle personali (in quanto postulanti l’accertamento del requisito della pericolosità del soggetto per la sicurezza pubblica ex art. 6 d.lgs. 159/2011 pur senza il necessario avvio di un processo penale nei suoi confronti, a differenza di quanto richiesto per le misure di sicurezza) e ripristinatoria per quelle reali (in quanto volte a far venir meno gli effetti di un acquisto della proprietà non conforme all’ordinamento giuridico giacché ragionevolmente correlato a quello in cui il soggetto risulta essere stato impegnato in attività criminose, al pari della misura prevista ora all’art. 240-bis c.p. su cui la Corte si è ampiamente pronunciata nella sentenza n. 33/2018) ed escluse, pertanto, per entrambe le garanzie proprie della matière pénale (corrispondenti a quelle aventi carattere sanzionatorio-punitivo), prendendo le mosse dalle statuizioni della sentenza Grande Camera CEDU de Tommaso contro Italia del 23 febbraio 2017 sul mancato rispetto dei canoni di determinatezza e prevedibilità della disciplina della sorveglianza speciale quale limitazione del diritto di circolazione convenzionalmente stabilito, la Corte ravvisa lo “statuto costituzionale” delle predette misure lungo le direttrici dell’esistenza di un’idonea base legale, della necessaria proporzionalità rispetto ai legittimi obiettivi di prevenzione e della riserva di giurisdizione ovvero di un procedimento che, ancorché non sottoposto agli standard garantistici del processo penale, sia comunque idoneo a garantire il diritto di difesa. Ciò premesso, quanto ai profili di indeterminatezza del fondamento normativo delle misure di prevenzione su cui già in passato aveva avanzato forti perplessità (sent. n. 77/1980), nel merito la Corte ritiene oggi che, alla luce dell’interpretazione tassativizzante condotta dalla più recente giurisprudenza di Cassazione sia sul versante sostanziale (con particolare riferimento all’aggettivo «delittuoso», all’avverbio «abitualmente», ai termini «elementi di fatto», «proventi» e «traffici delittuosi») e processuale (volte a precisare la consistenza degli «elementi di fatto» specie in rapporto ad eventuali pronunce frattanto intervenute in sede giudiziale) di cui alle disposizioni impugnate, fermo restando che solo la prima attiene al rispetto del principio di legalità, sia stato ormai raggiunto un sufficiente grado di precisione nella definizione della fattispecie di cui alla lettera b) dell’art. 1 d.lgs. 159/2011 dovendosi trattare di delitti commessi abitualmente (e dunque in un significativo arco temporale) dal soggetto, che abbiano effettivamente generato profitti in capo a costui, i quali a loro volta costituiscano – o abbiano costituito in una determinata epoca – l’unico suo reddito o quanto meno una componente significativa e dichiara, pertanto, infondata in parte qua la questione sollevata in quanto i potenziali destinatari delle misure di prevenzione risultano in condizione di poter ragionevolmente prevedere l’applicazione della misura stessa. Diversamente, l’ipotesi di cui all’art. 1, lett. a), d.lgs. 159/2011 (con annessi richiami nell’art. 4, comma 1, lett. c) e 16, d.lgs. 159/2011), viene tuttora ritenuta come affetta da radicale imprecisione non colmabile attraverso il diritto vivente nel quale, anzi, persiste un contrasto in ordine al significato del concetto, senz’altro letteralmente ambiguo e polisenso, di “traffici delittuosi” risolti ora in «qualsiasi attività delittuosa che comporti illeciti arricchimenti, anche senza ricorso a mezzi negoziali o fraudolenti […]», ora al «commercio illecito di beni tanto materiali quanto immateriali o addirittura concernente esseri viventi, nonché a condotte lato sensu negoziali ed intrinsecamente illecite ma comunque diverse da quelle integranti un qualsiasi delitto da cui sia derivato una qualche forma di provento. Ne deriva l’attuale espunzione di questa categoria di soggetti dalla platea dei destinatari delle suddette misure di prevenzione.