Pubblicato in: Giurisprudenza Costituzionale

Misure di prevenzione - Corte cost., n. 25 del 2019

D. Piva

Corte cost

La Corte dichiara l’illegittimità dei reati consistenti nella violazione delle prescrizioni del “rispettare le leggi” e del “vivere onestamente” di cui alla sorveglianza speciale – Corte cost. n. 25 del 2019

Con la sentenza n. 25/2019, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, dell’art. 75, comma 2, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), in relazione all’art. 117 della Costituzione, rispetto all’art. 7 CEDU e e all’art. 2 del relativo Protocollo n. 4 (ritenuta assorbita la violazione, pure prospettata dal ricorrente, dell’art. 25 cpv. Cost.) nella parte in cui prevede come delitto la violazione degli obblighi e delle prescrizioni inerenti la misura della sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno ove consistente nell’inosservanza delle prescrizioni di “vivere onestamente” e di “rispettare le leggi” nonché, in via consequenziale, dell’art. 75, comma 1, cod. antimafia, nella parte in cui prevede come reato contravvenzionale la violazione degli obblighi inerenti la misura della sorveglianza speciale senza obbligo o divieto di soggiorno ove consistente nell’inosservanza delle prescrizioni di “vivere onestamente” e di “rispettare le leggi”. La questione riguarda l’indeterminatezza della incriminazione censurata, alla luce di quanto affermato della sentenza CEDU Grande Camera del 23 febbraio 2017 (de Tommaso contro Italia). In ordine alla sua rilevanza, riprendendo quanto già chiarito nella sentenza n. 230/2012, la Corte afferma che - sebbene la Cassazione a Sezioni Unite abbia già escluso, con la sentenza n. 40076/2017 (sentenza Paternò), che l’inosservanza di prescrizioni così generiche da parte del soggetto sottoposto alla sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno non può integrare l’incriminazione di cui all’art. 75, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011 – solo una dichiarazione di illegittimità, assimilabile a un’abolitio criminis potrebbe dispiegare analoghi effetti su ricorsi (ancorché infondati o persino inammissibili) già pendenti o definiti prima di quella pronuncia ai sensi, rispettivamente, degli artt. 129 o 673 c.p.p., e non invece una mera interpretazione giurisprudenziale favorevole all’imputato, in quanto tale non rientrante nella garanzia di cui all’art. 25 cpv. Cost. Né, quanto alle pronunce già irrevocabili, potrebbe a ciò opporsi il principio di intangibilità del giudicato destinato a cedere nei casi in cui sul valore costituzionale ad esso intrinseco si debbano ritenere prevalenti opposti valori, ugualmente di dignità costituzionale, ai quali il legislatore intende assicurare un primato, come precisato nella sentenza n. 210/2013. Nel merito - superando il precedente della sentenza n. 282/2010 in cui la Corte aveva concluso che la prescrizione di vivere onestamente e di rispettare le leggi non violasse il principio di legalità in materia penale, sia perché le «leggi» sono tutte le norme a contenuto precettivo, non solo quelle la cui violazione è sanzionata penalmente, sia perché, d’altra parte, l’obbligo di «vivere onestamente» va «collocato nel contesto di tutte le altre prescrizioni normative svolgendo un valore di mero monito rafforzativo privo di autonomo contenuto prescrittivo – completando il percorso avviato dalle Sezioni Unite Paternò la Corte, in coerenza con la pronuncia della sentenza n. 24/2019, ha ritenuto che il canone della prevedibilità della condotta sanzionata, così come definito nella predetta sentenza CEDU de Tommaso risponda ormai a quell’«approdo giurisprudenziale stabile» (sentenza n. 120/2018) o a quel «diritto consolidato» (sentenze n. 49/2015 e n. 80/2011) idoneo ad assumere rilevanza ai sensi dell’art. 117 Cost.. Né potrebbe all’uopo opporsi il bilanciamento con altri valori costituzionali pure coinvolti dalla disposizione censurata la cui considerazione pure, in ottica sistemica, spetta alla Corte medesima (sent. 264/2012) quale riflesso dello stesso margine di apprezzamento che compete a ciascuno Stato membro nell’attuazione degli obblighi convenzionali (sent. nn. 93/2016, 15/2012 e 317/2009): del resto, l’esigenza di contrastare il rischio che siano commessi reati, quale autentica ratio delle misure di prevenzione è già soddisfatta dalle prescrizioni specifiche che il giudice può indicare e modulare come contenuto della sorveglianza speciale; senza considerare che la disposizione censurata produce, da una parte, l’effetto abnorme di sanzionare come reato qualsivoglia violazione amministrativa e, dall’altra, comporta, ove la violazione dell’obbligo costituisca di per sé reato, di aggravare indistintamente la pena, laddove l’art. 71 cod. antimafia già prevede come aggravante, per una serie di delitti, la circostanza che il fatto sia stato commesso da persona sottoposta, con provvedimento definitivo, a una misura di prevenzione personale durante il periodo previsto di applicazione della misura.