La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., dell’art. 516 c.p.p., nella parte in cui, in seguito alla modifica dell’originaria imputazione, non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento la sospensione del procedimento con messa alla prova.
La decisione qui segnalata si pone all’interno di un lungo e progressivo percorso di riallineamento alla Costituzione della disciplina codicistica delle nuove contestazioni, aggiungendo un ulteriore tassello a questa opera di ricostruzione normativa. Il tema dei rapporti tra nuove contestazioni dibattimentali e diritto dell’imputato di richiedere in quella sede un rito alternativo ha, infatti, formato oggetto di plurimi interventi da parte della Consulta, contrassegnati da una linea evolutiva ispirata a una sempre maggiore apertura, allo scopo di favorire una più ampia tutela del diritto di difesa.
La sentenza in esame ripercorre ancora una volta le tappe salienti di questa evoluzione giurisprudenziale, che ha visto succedersi numerose declaratorie di illegittimità costituzionale degli artt. 516 e 517 c.p.p. nella parte in cui non prevedevano la facoltà dell’imputato di essere ammesso a un rito speciale a contenuto premiale in caso di nuove contestazioni emerse nel corso dell’istruzione dibattimentale. Tali preclusioni – ha ribadito la Corte – violano l’art. 24 Cost., giacché la scelta dei riti alternativi da parte dell’imputato costituisce una delle più qualificanti espressioni del suo diritto di difesa, e si pongono altresì in contrasto con l’art. 3 Cost., determinando una irragionevole disparità di trattamento nell’accesso ai riti speciali «in dipendenza dalla maggiore o minore esattezza o completezza della discrezionale valutazione delle risultanze delle indagini preliminari operata dal pubblico ministero» (sent. cost. n. 265 del 1994).
Invero, in una prima fase, le dichiarazioni di illegittimità costituzionale erano state circoscritte alle ipotesi di contestazioni dibattimentali cosiddette “tardive” o “patologiche”, relative, cioè, a fatti che già risultavano dagli atti di indagine al momento dell’esercizio dell’azione penale (sent. cost. n. 184 del 2014, n. 333 del 2009 e n. 265 del 1994). Questo criterio limitativo è stato superato dalle pronunce più recenti (sent. cost. n. 82 del 2019, n. 141 del 2018, n. 206 del 2017, n. 273 del 2014 e n. 237 del 2012), nelle quali si è riconosciuta all’imputato la facoltà di accedere ai riti alternativi anche in seguito a nuove contestazioni “fisiologiche”, collegate cioè non a elementi acquisiti nel corso delle indagini, ma alle risultanze dell’istruzione dibattimentale.
Nella decisione in esame, tale affermazione assurge a principio generale: «in ogni ipotesi di nuove contestazioni – indipendentemente dalla circostanza per cui ciò sia o meno addebitabile alla negligenza del pubblico ministero nella formulazione dell’originaria imputazione –, all’imputato deve essere restituita la possibilità di esercitare le proprie scelte difensive, comprensive della decisione di chiedere un rito alternativo» (v. par. 2.1. della motivazione).
Pertanto, sul solco di quanto già statuito nella sentenza n. 141 del 2018 in tema di nuova contestazione di una circostanza aggravante e messa alla prova – ormai considerata quale vero e proprio rito alternativo (sent. cost. n. 68 del 2019, n. 91 del 2018 e n. 240 del 2015) – il principio sopra menzionato viene ora applicato anche alla ipotesi della contestazione di un fatto diverso, prevista dall’art. 516 c.p.p. e strutturalmente identica a quella della contestazione di nuove circostanze aggravanti nel corso dell’istruttoria dibattimentale di cui all’art. 517 c.p.p. (v. par. 2.2).
L’ultimo tassello ancora mancante nel mosaico delle declaratorie d’illegittimità concernenti l’istituto della messa alla prova pare allora coincidere con l’ipotesi della nuova contestazione di un reato concorrente emerso nel corso del dibattimento: è evidente che la sorte è già segnata anche per questa parte dell’art. 517 c.p.p., là dove non consente all’imputato di richiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova. Del resto, anche nella più recente decisione n. 82 del 2019 (in tema di patteggiamento) si è evidenziato che fatto diverso e reato connesso, entrambi emersi per la prima volta in dibattimento, integrano evenienze processuali che, sul versante dell’accesso ai riti alternativi, non possono non rappresentare situazioni fra loro del tutto analoghe.