Con l’ordinanza n. 136 del 2021, la Corte costituzionale ha dichiarato manifestamente inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p., sollevate, in riferimento all’art. 117, co. 1, Cost., in relazione all’art. 4 Prot. n. 7 CEDU, dalla Corte d’appello di Bologna, sezione prima penale, nella parte in cui tale disposizione non preclude un nuovo giudizio nel caso in cui il medesimo soggetto sia già stato giudicato per il medesimo fatto in un procedimento amministrativo conclusosi con una sanzione amministrativa irrevocabile, da considerarsi sostanzialmente penale alla luce dei criteri fissati dalla giurisprudenza della Corte EDU.
La Consulta ha ritenuto manifestamente inammissibile la prima questione sollevata dal rimettente, poiché l’insufficiente descrizione della fattispecie oggetto del giudizio a quo ha impedito di verificare la sua effettiva rilevanza e, in particolare, ha impedito di verificare l’effettiva “medesimezza” del fatto punito dalla norma amministrativa e da quella penale.
Quanto alla seconda questione, il Giudice delle leggi ha anzitutto rilevato come il rimettente abbia mosso dal presupposto interpretativo secondo cui le sanzioni amministrative irrogate alla persona interessata (A.P.F.) per taluni illeciti tributari dovessero reputarsi definitive (condizione per l’applicabilità del ne bis in idem), ritenendo sufficiente, a tal fine, l’avvenuta notifica degli avvisi di accertamento al curatore del fallimento, che non li ha impugnati. In realtà, come osserva la Corte, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, nei casi in cui il provvedimento venga notificato al solo curatore, in difetto di impugnazione da parte della curatela, la pretesa tributaria è inefficace nei confronti del fallito e l’atto impositivo non diventa definitivo (Cass. civ., Sez. V, 18 marzo 2016, n. 5392, in Mass. Uff., n. 639036; Id., 19 marzo 2007, n. 6476, in Mass. Uff., n. 597031).
A parte ciò, la Corte ha dichiarato comunque la manifesta inamissibilità di tale questione per insufficiente motivazione in ordine alla sua rilevanza. Invero, il rimettente si è limitato ad affermare che le sanzioni amministrative inflitte ad A.P.F. sono di natura punitiva, senza però chiarire perché le sanzioni amministrative pecuniarie e la sanzione penale detentiva perseguirebbero la stessa finalità e, soprattutto, senza dare conto delle plurime disposizioni, interne ed esterne al corpus normativo del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, che regolano i rapporti tra procedimento amministrativo e procedimento penale in materia tributaria. Inoltre, secondo la Consulta, il rimettente ha omesso di confrontarsi con la sentenza costituzionale n. 222 del 2019, nella quale si era sottolineata, in questa materia, la necessità di una puntuale dimostrazione della non conformità della disciplina oggetto di censura a tutti i criteri enunciati dalla giurisprudenza europea (in particolare, la sent. n. 222 del 2019 aveva fatto riferimento alla pronuncia Corte EDU, Grande Camera, sent. 15 novembre 2016, A e B c. Norvegia e alla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, sent. 20 marzo 2018, in causa C-524/15, Menci: sentenza, quest’ultima, non presa in considerazione dal rimettente neppure nella presente occasione).
Pertanto, anche alla luce dell’attuale conformazione del ne bis in idem europeo, in questa decisione, così come nella sentenza n. 222 del 2019, la Corte ha ritenuto che le lacune argomentative dell’ordinanza di rimessione non potessero che riverberarsi sulla rilevanza della questione.