Pubblicato in: Giurisprudenza Costituzionale

Notificazioni al pubblico ministero – Corte cost., n. 96 del 2022

Anna Maria Capitta


Con la sentenza n. 96 del 2022, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 153 c.p.p., sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, co. 2, e 111 Cost., dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Messina, nella parte in cui tale disposizione non consente alle parti o ai difensori di eseguire le notificazioni al pubblico ministero mediante posta elettronica certificata (PEC).
Ricostruito il quadro normativo relativo alle notificazioni mediante PEC nel processo penale, la Consulta ha anzitutto precisato che, per lo scrutinio delle questioni sollevate, non è rilevante lo ius superveniens che ha oggi reso possibili i depositi telematici e l’invio di atti, documenti e istanze via PEC da parte dei difensori, durante la pandemia da Covid-19. L’ordinanza di rimessione era stata infatti depositata il 28 novembre 2018, per cui il giudice a quo era chiamato a valutare la ritualità della notifica via PEC effettuata dal difensore dell’imputato con riferimento alla normativa all’epoca vigente, stante il principio tempus regit actum.
Ad avviso della Corte, è innegabile che dal quadro normativo precedente alla legislazione emergenziale del 2020 trasparisse una evidente disparità di trattamento tra le parti del processo penale. Al pubblico ministero era infatti consentito in via generale l’uso della PEC per le notificazioni al difensore dell’imputato o indagato, là dove analoga possibilità era preclusa al difensore per le notificazioni al pubblico ministero. D’altra parte, secondo la Consulta, una tale disparità di trattamento non poteva ritenersi sorretta da ragionevoli giustificazioni.
Tuttavia, nella sentenza qui pubblicata, il Giudice delle leggi si è astenuto dal pronunciare l’illegittimità costituzionale della disposizione censurata, poiché ha ritenuto che tale pronuncia avrebbe portato in sé il rischio di determinare nuove disarmonie e incongruenze.
Infatti, la Corte stessa ha affermato che, con il suo intervento, avrebbe potuto limitarsi a introdurre una nuova modalità a disposizione dei difensori per effettuare notificazioni al pubblico ministero, senza poter però assicurare il corretto funzionamento dei flussi comunicativi: obiettivo, quest’ultimo, per realizzare il quale sono invece necessari interventi legislativi e regolamentari ad hoc, caratterizzati da ampia discrezionalità quanto all’individuazione di modi, condizioni e termini. Per esempio, nel contesto della realizzazione di un processo penale telematico, il legislatore è chiamato a scegliere se la modalità di trasmissione degli atti di parte al pubblico ministero durante le indagini preliminari debba essere individuata nella PEC o in altro strumento telematico, come avvenuto, durante l’emergenza pandemica, in relazione all’uso del «portale del processo penale telematico» (PPPT) di cui all’art. 24, co. 1 e 2, D.L. 28 ottobre 2020, n. 137.
Infine, la Corte ha rilevato che l’intervento richiesto dal rimettente si sovrapporrebbe in maniera disorganica all’esercizio della delega di cui all’art. 1, co. 5 e 6, L. 27 settembre 2021, n. 134, finalizzata a introdurre una compiuta e stabile disciplina del processo penale telematico.
Da qui l’inammissibilità delle questioni prospettate.
La Consulta ha peraltro auspicato una rapida e puntuale attuazione della delega di cui all’art. 1, co. 5 e 6, l. n. 134 del 2021, in modo da confermare anche per il futuro la facoltà per il difensore di giovarsi di modalità telematiche per l’effettuazione di notificazioni e depositi presso l’autorità giudiziaria. Ciò – ha concluso la Corte – in coerenza con il dovere costituzionale di assicurare piena effettività al diritto di difesa e di superare definitivamente l’irragionevole disparità di trattamento tra parte pubblica e privata ravvisata, a ragione, dal giudice rimettente.