La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 24, co. 2, Cost., dell’art. 517 c.p.p., nella parte in cui, in seguito alla nuova contestazione di una circostanza aggravante, non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento la sospensione del procedimento con messa alla prova.
La sentenza qui segnalata si pone all’interno di un quadro complessivo di principi che si è andato delineando in modo sempre più nitido nella evoluzione della stessa giurisprudenza costituzionale. Il Giudice delle leggi – in decisioni riconducibili a un arco temporale piuttosto ampio – ha infatti accomunato le fattispecie regolate dagli artt. 516 e 517 c.p.p. in analoghe declaratorie di illegittimità costituzionale inerenti alle contestazioni dibattimentali cosiddette “tardive” o “patologiche”, relative, cioè, a fatti che già risultavano dagli atti di indagine al momento dell’esercizio dell’azione penale: in queste ipotesi – ha ritenuto la Corte – non vi è una libera assunzione da parte dell’imputato del rischio di una nuova contestazione nel dibattimento, dato che le sue determinazioni in ordine ai riti speciali erano state sviate da una condotta processuale anomala del pubblico ministero (sent. n. 265 del 1994 e n. 184 del 2014). Nella successiva evoluzione giurisprudenziale, questo requisito è stato superato e la Corte, con tre sentenze più recenti (sent. n. 237 del 2012, n. 273 del 2014 e n. 206 del 2017), ha riconosciuto all’imputato la facoltà di accedere ai riti alternativi del patteggiamento e del giudizio abbreviato anche in seguito a nuove contestazioni “fisiologiche”, collegate cioè non a elementi acquisiti nel corso delle indagini, ma alle risultanze dell’istruzione dibattimentale.
Nella sentenza qui pubblicata (tenuto conto che il caso di specie concerneva una contestazione “tardiva”), la Consulta ha ritenuto non rilevante la circostanza che, nel momento processuale in cui nel procedimento a quo avrebbe dovuto essere presentata la richiesta di messa alla prova, la l. n. 67 del 2014 non era ancora stata emanata. Per valutare l’ammissibilità della richiesta, infatti, non è al momento in cui la richiesta avrebbe dovuto essere presentata che occorre fare riferimento, ma al momento in cui è avvenuta la contestazione suppletiva, dato che, nella più recente giurisprudenza, il riconoscimento della facoltà di chiedere il rito speciale non deve più ritenersi condizionato dalla “tardività” della contestazione. Nella decisione in esame viene ancor meglio delineato, in positivo, ciò che costituisce il fondamento della facoltà di richiesta di un rito alternativo: la contestazione suppletiva. Il dato rilevante – osserva la Corte – è la sopravvenienza di una contestazione suppletiva, quali che siano gli elementi che l’hanno giustificata, esistenti fin dalle indagini o acquisiti nel corso del dibattimento, ed è ad essa che deve ricollegarsi la facoltà dell’imputato di chiedere un rito speciale, indipendentemente dalla ragione per cui la richiesta in precedenza è mancata. È nel diritto di difesa che la “nuova” facoltà trova il suo fondamento, perché, se la richiesta dei riti alternativi costituisce una modalità, tra le più qualificanti, di esercizio di tale diritto, occorre allora che la relativa facoltà sia collegata anche all’imputazione che, per effetto della contestazione suppletiva, deve effettivamente formare oggetto del giudizio.
Inoltre – ha rilevato il Giudice delle leggi – si determinerebbe una situazione in contrasto con il principio sancito dall’art. 3 Cost. se, nella medesima situazione processuale, fosse regolata diversamente la facoltà di chiedere i riti speciali.
In definitiva, secondo la Corte costituzionale, nel caso di contestazione suppletiva – quale che sia, “patologica” o “fisiologica” – di una circostanza aggravante, la mancata previsione, nell’art. 517 c.p.p., della facoltà per l’imputato di richiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova si risolve, come è stato ritenuto per il patteggiamento (sent. n. 184 del 2014) e per il giudizio abbreviato (sent. n. 139 del 2015), in una violazione degli artt. 3 e 24 Cost.
(A. Capitta)