Con la sentenza n. 82 del 2019, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 24, co. 2, Cost., dell’art. 517 c.p.p., nella parte in cui non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento l’applicazione della pena, a norma dell’art. 444 c.p.p., relativamente al reato concorrente emerso nel corso del dibattimento e che forma oggetto di nuova contestazione.
La decisione qui segnalata si pone all’interno di un lungo e progressivo percorso di riallineamento alla Costituzione della disciplina codicistica delle nuove contestazioni. Il tema dei rapporti tra le nuove contestazioni dibattimentali e il diritto dell’imputato di richiedere in quella sede un rito alternativo ha, infatti, formato oggetto di numerosi interventi da parte della Consulta, contrassegnati da una linea evolutiva ispirata a una sempre maggiore apertura, allo scopo di favorire una più ampia tutela del diritto di difesa.
La sentenza in esame ripercorre le tappe salienti di questa evoluzione normativa operata dalla giurisprudenza costituzionale. Con tale rassegna, il Giudice delle leggi persegue, questa volta, una precisa finalità: quella di giungere alla enunciazione di taluni approdi, che valgano ad esaurire, pro futuro, l’intera tematica (v. par. 2.2. della motivazione). E infatti, l’enunciazione più pregnante della Corte si risolve in questo sillogismo: se la possibilità di richiedere i riti alternativi si salda a fil doppio al diritto di difesa – in particolare, al diritto di scegliere il modello processuale più congeniale all’esercizio di quel diritto – e se è la regiudicanda a costituire la base su cui operare tali scelte, non può che desumersi la incoerenza con quel diritto di qualsiasi preclusione che ne limiti l’esercizio concreto, tutte le volte in cui il sistema ammetta una mutatio libelli in sede dibattimentale (v. par. 2.13). Ciò significa, in linea generale, che saranno passibili di declaratoria di illegittimità costituzionale tutte le norme che ancora non consentono la richiesta di un rito alternativo a seguito di una nuova contestazione.
L’epilogo cui la Corte perviene agli effetti della specifica questione oggetto del giudizio appare, a questo punto, manifesto (v. par. 2.14).
Con la sentenza n. 184 del 2014, era stato dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 517 c.p.p., nella parte in cui non prevedeva la facoltà per l’imputato di chiedere il patteggiamento in ipotesi di contestazione “patologica” di una circostanza aggravante. Tenuto conto del superamento della distinzione tra nuove contestazioni “fisiologiche” e “patologiche” (sent. cost. n. 237 del 2012, n. 273 del 2014, n. 206 del 2017 e n. 141 del 2018), la Consulta ha ritenuto oggi che – per identità di ratio decidendi – la medesima facoltà debba essere riconosciuta anche in rapporto a una contestazione “fisiologica” di un reato connesso.
E ancora, la Corte ha evidenziato la irrazionalità della censurata preclusione, a fronte della sentenza n. 237 del 2012, con la quale, nel caso di contestazione “fisiologica” del reato connesso, si è consentito all’imputato di richiedere il giudizio abbreviato: rito, quest’ultimo, il cui “innesto” in sede dibattimentale, risulta peraltro più problematico del patteggiamento.
Infine, secondo i Giudici della Consulta, l’accoglimento della questione risultava ormai dovuto alla luce della sentenza n. 206 del 2017, dal momento che, con tale pronuncia, è stata estesa la facoltà di proporre richiesta di patteggiamento dopo la contestazione dibattimentale “fisiologica” del fatto diverso. Fatto diverso e reato connesso, entrambi emersi per la prima volta in dibattimento – ha concluso la Corte costituzionale – integrano evenienze processuali che, sul versante dell’accesso ai riti alternativi, non possono non rappresentare situazioni fra loro del tutto analoghe.