Con la sentenza n. 41 del 2019, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, co. 1, legge Regione Veneto 26 gennaio 2018, n. 1 (Modifiche della legge reg. 28 dicembre 2012, n. 48 “Misure per l’attuazione coordinata delle politiche regionali a favore della prevenzione del crimine organizzato e mafioso, della corruzione nonché per la promozione della cultura della legalità e della cittadinanza responsabile”), promossa, in riferimento all’art. 117, co. 2, lett. l), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, nella parte in cui tale disposizione aggiunge il co. 1-bis all’art. 16, legge Regione Veneto 28 dicembre 2012, n. 48, stabilendo l’obbligo della Regione Veneto di costituirsi parte civile in tutti i procedimenti penali, relativi a fatti commessi nel territorio della Regione stessa, in cui sia stato emesso decreto che dispone il giudizio o decreto di citazione a giudizio contenente imputazioni per i delitti di cui agli artt. 416-bis (associazione di tipo mafioso) e 416-ter (scambio elettorale politico-mafioso) c.p. o per i delitti consumati o tentati commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416-bis c.p.
Secondo il ricorrente, la norma regionale violava la competenza legislativa esclusiva dello Stato, in relazione alla materia «ordinamento penale», di cui all’art. 117, co. 2, lett. l), Cost., contrastando con l’art. 74 c.p.p., il quale stabilisce che il titolare dell’azione civile abbia non già l’obbligo, ma la mera facoltà, di costituirsi parte civile nel processo penale.
La Consulta ha ritenuto la questione non fondata e non già inammissibile, poiché il ricorso in via principale del Presidente del Consiglio dei ministri soddisfava i requisiti concernenti la identificazione esatta della questione nei suoi termini normativi, la indicazione delle norme costituzionali e ordinarie in conflitto, nonché l’argomentazione di merito a sostegno delle censure formulate (ex multis, sent. n. 282, n. 273 e n. 265 del 2016).
La Corte motiva l’infondatezza della questione dal fatto che alla norma regionale censurata non può attribuirsi alcun rilievo di carattere ordinamentale o processuale, a differenza delle fattispecie di cui alla sent. cost. n. 81 del 2017, non incidendo essa né sul potere del giudice di valutare la legittimazione della Regione a costituirsi parte civile nel processo penale, né potendosi ritenere che essa si sovrapponga a quelle norme dell’ordinamento che fondano l’azione risarcitoria e che ne disciplinano l’esercizio nel processo penale. Essa si limita, infatti, a fare obbligo ai competenti organi della Regione Veneto di costituirsi parte civile nei processi penali relativi ai delitti di stampo mafioso commessi nel territorio della Regione. Pertanto – ha rilevato il Giudice delle leggi – la norma impugnata esaurisce la sua funzione all’interno della Regione e, come tale, appare espressione, del tutto legittima, del potere di indirizzo politico-amministrativo spettante al Consiglio regionale nei confronti degli altri organi dell’ente.