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La Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 76, co. 2, e 92, d. lgs. 30 maggio 2002, n. 113 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia – Testo B), «riprodotti» nel d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – Testo A), sollevata, in riferimento agli artt. 3, co. 1, 24, co. 1 e 3, e 113, co. 1, Cost., dal Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento, nella parte in cui tali disposizioni stabiliscono, soltanto per il processo penale, la regola in forza della quale, ove l’interessato conviva con il coniuge o con altri familiari, i limiti di reddito annui per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti sono aumentati di euro 1.032,91.
Tenuto conto delle peculiarità che caratterizzano il processo penale rispetto ai procedimenti civili o amministrativi, la Corte ha ritenuto del tutto coerente che il legislatore, proprio in considerazione delle particolari esigenze di difesa di chi “subisce” l’azione penale, abbia reputato necessario approntare un sistema di garanzie che ne assicurasse al meglio la effettività, anche sotto il profilo dei limiti di reddito per poter fruire del patrocinio a spese dello Stato. Come ha precisato il Giudice delle leggi, la finalità di tutela giurisdizionale sancita dall’art. 24, co. 1, Cost., ma, soprattutto, la necessità di assicurare ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione, prevista dal co. 3 dello stesso art. 24 Cost., non presuppongono affatto che «gli appositi istituti» siano modellati in termini sovrapponibili per tutti i tipi di azione e di giudizio.
A.C.