Pubblicato in: Giurisprudenza Costituzionale

Patteggiamento e diminuzione della pena per reati contravvenzionali – Corte cost., n. 83 del 2024

Anna Maria Capitta

Corte cost.

Con la sentenza n. 83 del 2024, la Corte costituzionale ha dichiarato:
1) inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 444 c.p.p., sollevate, in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost., dal Tribunale di Marsala in composizione monocratica, nella parte in cui tale disposizione, nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti per reati contravvenzionali, prevede la diminuzione della pena fino a un terzo, anziché fino alla metà.
2) non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 444 c.p.p., sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., dal medesimo Tribunale di Marsala, nella parte in cui tale disposizione, nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti per reati contravvenzionali, prevede la diminuzione della pena fino a un terzo, anziché fino alla metà.
Il rimettente ha posto a fondamento del dubbio di legittimità costituzionale la disparità di trattamento riscontrabile tra l’istituto del patteggiamento e quello del giudizio abbreviato: quest’ultimo assicura all’imputato, quando si proceda per una contravvenzione, la riduzione della pena nella misura della metà (art. 442, co. 2, c.p.p., come modificato dalla L. 23 giugno 2017, n. 103), mentre l’applicazione della pena su richiesta delle parti, pur garantendo una maggiore economia processuale rispetto al rito abbreviato, prevede, per i reati contravvenzionali, la diminuzione della pena fino a un terzo, anziché fino alla metà.
In via preliminare, la Consulta ha rilevato che la disciplina dei due procedimenti speciali posti in comparazione dal rimettente è stata oggetto di modifica ad opera del D. Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (c.d. riforma Cartabia), entrato in vigore in data successiva a quella dell’ordinanza di rimessione. Ad avviso della Corte, tale ius superveniens non giustifica, tuttavia, la restituzione degli atti al giudice a quo, poiché la riforma non ha inciso sullo specifico aspetto investito dalle questioni: l’entità della riduzione di pena annessa al patteggiamento è rimasta, infatti, inalterata.
Le questioni sollevate in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost. sono state dichiarate inammissibili, giacché l’ordinanza di rimessione, a parere della Corte, recava solo un apodittico richiamo ai principi di inviolabilità del diritto di difesa e del giusto processo, senza svolgere alcuna argomentazione a sostegno della loro ipotizzata violazione.
Nel merito, la Consulta ha ritenuto non fondata la questione prospettata in riferimento all’art. 3 Cost.
Il giudice a quo ha reputato irragionevole – se non addirittura «paradossale» – che, a parità di reato contravvenzionale, venga “trattato peggio” il rito alternativo che è in grado di assicurare una definizione più rapida dei procedimenti e un maggior risparmio di risorse processuali.
Da ciò, secondo la Corte, non può tuttavia farsi discendere l’esigenza costituzionale di annettere al patteggiamento una riduzione di pena non inferiore a quella prevista per il giudizio abbreviato. Sin dalle origini, infatti – ha osservato il Giudice delle leggi – l’abbattimento della pena connesso al patteggiamento è stato delineato in termini di minor favore rispetto a quello collegato al rito abbreviato, pur a parità del coefficiente frazionario di riferimento (riduzione della pena «di un terzo», ex art. 442, co. 2, c.p.p., in caso di giudizio abbreviato; mentre, in caso di patteggiamento, la pena è diminuita «fino a un terzo», ai sensi dell’art. 444, co. 1, c.p.p.).
Come è stato evidenziato dalla giurisprudenza costituzionale, i due istituti in questione appaiono nettamente differenziati tra loro (sent. cost., n. 135 del 1995; n. 81 del 1991 e n. 66 del 1990), non solo sul piano delle connotazioni astratte, ma anche degli effetti pratici e, dunque, non utilmente comparabili al fine di annettere violazioni dell’art. 3 Cost. alle discrepanze tra le rispettive discipline (sent. cost., n. 135 del 1995; ord. cost. n. 455 del 2006 e n. 320 del 1991).
La scelta operata con la l. n. 103 del 2017 – di incrementare alla metà la riduzione di pena connessa al giudizio abbreviato quando si proceda per contravvenzioni, senza operare un corrispondente incremento dello sconto di pena connesso al patteggiamento – è stata, quindi, considerata dalla Corte espressiva dell’ampia discrezionalità che compete al legislatore nella disciplina degli istituti processuali, il cui esercizio è censurabile solo ove decampi nella manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio (ex plurimis, sent. cost. n. 230 e 74 del 2022, n. 95 del 2020 e n. 155 del 2019). Evenienza, questa, non ravvisabile nella specie dalla Consulta, posto che l’incremento in questione, se accresce l’incentivo all’accesso al rito abbreviato, non appare tale da compromettere la convenienza del patteggiamento, tenuto conto della struttura di tale ultimo rito e del complesso di vantaggi ulteriori, rispetto allo sconto di pena, che esso assicura e che, invece, risulta privo di equivalenti nel giudizio abbreviato.