Con la sentenza n. 137 del 2021, la Corte costituzionale ha dichiarato:
1) l’illegittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 2, 3 e 38 Cost., dell’art. 2, co. 61, L. 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita), nella parte in cui prevede la revoca delle prestazioni, comunque denominate in base alla legislazione vigente, quali l’indennità di disoccupazione, l’assegno sociale, la pensione sociale e la pensione per gli invalidi civili, nei confronti di coloro che scontino la pena in regime alternativo alla detenzione in carcere;
2) in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27, L. 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 2, 3 e 38 Cost., dell’art. 2, co. 58, l. n. 92 del 2012, nella parte in cui prevede la revoca delle prestazioni, comunque denominate in base alla legislazione vigente, quali l’indennità di disoccupazione, l’assegno sociale, la pensione sociale e la pensione per gli invalidi civili, nei confronti di coloro che scontino la pena in regime alternativo alla detenzione in carcere;
3) inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, co. 61, l. n. 92 del 2012, sollevate dal Tribunale ordinario di Fermo, sezione lavoro, in riferimento agli artt. 3, 25 e 38 Cost.
La Consulta ha anzitutto ricostruito la disciplina prevista dall’art. 2, co. 58 e 61, l. n. 92 del 2012.
Il comma 58 dispone che, nel pronunciare sentenza di condanna per taluni reati di particolare allarme sociale – associazione terroristica, attentato per finalità terroristiche o di eversione, sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione, associazione di stampo mafioso, scambio elettorale, strage e delitti commessi per agevolare le associazioni di stampo mafioso – il giudice applichi la sanzione accessoria della revoca di una serie determinata di prestazioni assistenziali, ossia l’indennità di disoccupazione, l’assegno sociale, la pensione sociale e la pensione per gli invalidi civili.
Il comma 61, oggetto di censura, prevede che, entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge n. 92 del 2012, il Ministro della giustizia, d’intesa con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, trasmetta agli enti titolari dei relativi rapporti l’elenco dei soggetti già condannati con sentenza passata in giudicato per i reati di cui al co. 58, ai fini della revoca, con effetto non retroattivo, delle prestazioni di cui al medesimo co. 58, primo periodo.
La Corte ha rilevato che lo “statuto d’indegnità” così forgiato dal legislatore può concretamente porre in pericolo la stessa sopravvivenza dignitosa del condannato, privandolo del minimo vitale, in violazione dei principi costituzionali su cui si fonda il diritto all’assistenza (artt. 2, 3 e 38 Cost.).
È pur vero – ha ricordato la Corte – che queste persone hanno gravemente violato il patto di solidarietà sociale che è alla base della convivenza civile. Tuttavia, attiene a questa stessa convivenza civile che ad essi siano comunque assicurati i mezzi necessari per vivere. Ciò non accade qualora la revoca riguardi il condannato ammesso a scontare la pena in regime alternativo al carcere, che deve sopportare le spese per il proprio mantenimento: queste ultime, infatti, ove egli sia privo di mezzi adeguati, potrebbero essere garantite solo dalle suddette provvidenze pubbliche, che si basano proprio sullo stato di bisogno del beneficiario. D’altra parte – osserva il Giudice delle leggi – risulta contrario al principio di ragionevolezza che l’ordinamento ritenga un soggetto meritevole di accedere a misure alternative alla detenzione, ma lo privi poi dei mezzi per vivere.
La Consulta ha esteso la declaratoria d’illegittimità costituzionale, in via consequenziale, al co. 58 dell’art. 2, l. n. 92 del 2012, ove si prevede, a regime, la revoca delle ricordate prestazioni assistenziali con la sentenza di condanna per i reati previsti dalla stessa disposizione.
L’illegittimità della revoca – ha concluso la Corte – deriva dal pregiudizio al diritto all’assistenza per chi necessiti dei mezzi per sopravvivere, che deve essere comunque garantito a ciascun individuo, pur se condannato in via definitiva per reati di criminalità organizzata o di terrorismo.