Con l’ordinanza n. 66 del 2020, la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 459, co. 1-bis, c.p.p., introdotto dall’art. 1, co. 53, L. 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 27, co. 3, Cost., dal G.i.p. del Tribunale ordinario di Macerata, nella parte in cui tale disposizione prevede che il valore giornaliero di conversione della pena detentiva in pecuniaria sia pari ad euro 75 e fino a tre volte tale ammontare tenuto conto della condizione economica complessiva dell’imputato e del suo nucleo familiare.
La Consulta ha anzitutto ricordato che questioni identiche a quelle sollevate dal rimettente sono già state esaminate e ritenute infondate con la sentenza n. 155 del 2019.
In quella pronuncia, la Corte ha ritenuto privo di fondamento il dubbio di conformità della disciplina censurata all’art. 3 Cost.: non è infatti ravvisabile alcuna disparità di trattamento tra gli imputati giudicati con il procedimento per decreto penale e gli imputati giudicati con il procedimento ordinario o con altri riti speciali. La riduzione – per effetto della introduzione di un criterio di ragguaglio più favorevole tra pena detentiva e pena pecuniaria – dell’importo delle sanzioni irrogabili nel procedimento per decreto è stata concepita dal legislatore nell’ottica di incentivare il ricorso al rito speciale. Tali scelte attuate con la riforma del 2017 non possono ritenersi irragionevoli o arbitrarie, non avendo il legislatore travalicato l’ampia discrezionalità di cui gode nella determinazione dei trattamenti sanzionatori, così come nella disciplina degli istituti processualpenalistici.
Inoltre – sempre nella decisione n. 155 del 2019 – il Giudice delle leggi ha respinto una censura, analoga a quella qui formulata, di contrarietà della disposizione in esame all’art. 27, co. 3, Cost., evidenziando come la denunciata eccessiva tenuità del trattamento sanzionatorio risultante dall’applicazione del criterio di ragguaglio di cui all’art. 459, co. 1-bis, c.p.p. non arrechi alcun vulnus alla finalità rieducativa della pena: tale finalità risulta infatti costantemente evocata, nella giurisprudenza costituzionale, in relazione alla necessità che la pena non sia sproporzionata per eccesso – e non già per difetto – rispetto alla gravità del fatto di reato (ex multis, sent. n. 40 del 2019, n. 233 e n. 222 del 2018).
Non prospettando il rimettente argomentazioni diverse da quelle già disattese nella sentenza n. 155 del 2019, la Corte costituzionale ha dichiarato manifestamente infondate le questioni oggetto della pronuncia qui pubbli