Pubblicato in: Giurisprudenza Costituzionale

Prove/Mezzi di ricerca della prova – Corte cost., n. 20 del 2017

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Fonte immagine: www.cortecostituzionale.it

La Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 266 c.p.p. e degli artt. 18 (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dall’art. 3, co. 2 e 3, l. 8 aprile 2004, n. 95, recante «Nuove disposizioni in materia di visto di controllo sulla corrispondenza dei detenuti») e 18-ter, l. 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 112 Cost., dalla Corte di assise di appello di Reggio Calabria, nella parte in cui tali disposizioni non consentono di intercettare il contenuto della corrispondenza postale (in genere e, in particolare, di quella del detenuto), impedendo così di captare il contenuto delle missive senza che il mittente e il destinatario ne vengano a conoscenza, come avviene invece per le altre forme di comunicazione.

Nell’ampia e articolata motivazione in cui si snoda la sentenza qui pubblicata, la Consulta ha rilevato, anzitutto, che la vigente normativa sulla ricerca dei mezzi di prova distingue gli strumenti applicabili alla corrispondenza da quelli esperibili nei confronti delle comunicazioni telefoniche, telematiche e informatiche: per le prime è possibile procedere a sequestro (art. 254 cod. proc. pen.), mentre per le seconde la ricerca delle prove può avvenire a mezzo di intercettazione (artt. 266 e 266-bis c.p.p.). Il rimettente ha ravvisato un’ingiustificata asimmetria – contraria all’art. 3 Cost. – tra la disciplina concernente le comunicazioni epistolari e quella applicabile alle altre forme di comunicazione (conversazioni e comunicazioni telefoniche, telematiche o informatiche, ovvero gestuali), in quanto per le prime non sarebbe prevista l’intercettazione, ma solo il sequestro. Al riguardo, la Corte ha affermato, invece, che la medesima esigenza di tutela della libertà e segretezza delle comunicazioni interpersonali ben può tollerare, o persino richiedere, che la limitazione del diritto sia adeguatamente modulata, in ragione delle diverse caratteristiche del mezzo attraverso cui la comunicazione si esprime. Ai fini del controllo di legittimità costituzionale – osserva la Corte – occorre verificare se il legislatore abbia operato in concreto un bilanciamento tra il principio costituzionale della tutela della riservatezza nelle comunicazioni e l’interesse della collettività, anch’esso costituzionalmente protetto, alla repressione degli illeciti penali, senza imporre limitazioni irragionevoli o sproporzionate dell’uno o dell’altro (cfr. sent. n. 372 del 2006). Sul punto, la Consulta ha ritenuto che la specifica disciplina applicabile alla corrispondenza non determini una distinzione giuridica irragionevole e perciò lesiva del principio di eguaglianza, sulla base del solo raffronto con la normativa applicabile a mezzi strutturalmente eterogenei quali sono le comunicazioni telefoniche, informatiche e telematiche. La specificità della regolamentazione del sequestro di corrispondenza epistolare e la inapplicabilità ad essa della normativa sulle intercettazioni risultano, del resto, dalla giurisprudenza di legittimità delle Sezioni unite (Cass., Sez. un., sent. 19 aprile – 18 luglio 2012, n. 28997).

Per quanto riguarda più specificamente la corrispondenza postale del detenuto, la Corte ha ricordato che la disciplina di cui all’art. 18-ter, l. n. 354 del 1975, come modificata dalla l. n. 95 del 2004, rappresenta un delicato punto di equilibrio raggiunto dal legislatore, anche a seguito di numerose decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo in cui l’Italia è stata ripetutamente condannata per violazione degli artt. 8 e 13 CEDU (sent. 21 ottobre 1996, Calogero Diana c. Italia; 15 novembre 1996, Domenichini c. Italia; 6 aprile 2000, Labita c. Italia; 26 luglio 2001, Di Giovine c. Italia; 14 ottobre 2004, Ospina Vargas c. Italia). Secondo il Giudice delle leggi, l’apposizione del visto di controllo, insieme agli altri strumenti contemplati dall’art. 18-ter, realizza, nello specifico ambito della detenzione in carcere, un bilanciamento tra le esigenze investigative legate alla prevenzione o alla repressione dei reati e i diritti dei detenuti, tra i quali la possibilità di intrattenere rapporti con soggetti esterni riveste una particolare importanza, affinché le modalità di esecuzione della pena siano rispettose dei principi costituzionali e, segnatamente, dell’art. 27 Cost.

Deve escludersi, pertanto, la manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte discrezionali del legislatore nella regolazione dei mezzi di ricerca della prova che possono essere adottati in relazione alla corrispondenza postale in genere e del detenuto in particolare. Una volta ritenuta non illegittima, per la corrispondenza epistolare, la restrizione a taluni mezzi di ricerca della prova, la Consulta ha ritenuto che risultino altrettanto non illegittime le conseguenti limitazioni del materiale probatorio utilizzabile (ex art. 191 c.p.p.).

Pertanto, la Corte costituzionale ha dichiarato l’infondatezza, nel merito, delle censure relative alla violazione degli artt. 3 e 112 Cost.

A.C.