A pochi giorni dalla sentenza della CEDU sul caso Viola c. Italia, nella quale si era già affermata l’incompatibilità del cd. “ergastolo ostativo” con l’art. 3 della Convenzione in quanto assimilabile a trattamento inumano o degradante e in contrasto col divieto di privare una persona della propria libertà senza intervenire contemporaneamente per il reinserimento della medesima, stando al comunicato stampa diffuso in data 23 ottobre 2019, la Corte Costituzionale, in accoglimento di analoghe questioni sollevate dalla Corte di Cassazione e dal Tribunale di sorveglianza di Perugia con riguardo a condanne per delitti di mafia, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del medesimo citato articolo 4-bis, comma 1, L. 354/1975 nella parte in cui non prevede la concessione di permessi premio in assenza di collaborazione con la giustizia, ove anche siano stati acquisiti elementi tali da escludere sia l’attualità della partecipazione all’associazione criminale sia, più in generale, il pericolo del ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata, sempre che il condannato abbia dato piena prova di partecipazione al percorso rieducativo.
In questo caso, in piena coerenza con quanto già a suo tempo già affermato (sent. 149/2018), la Corte, sia pur pronunciandosi nei limiti della richiesta dei giudici rimettenti, ha definitivamente sottratto la concessione del permesso premio alla generale applicazione del meccanismo “ostativo”, postulando che, diversamente da quanto desumibile dalla disposizione censurata, la presunzione di “pericolosità sociale” del detenuto non collaborante non può mai operare come assoluta ma semmai soltanto come relativa, essendo comunque superabile dal magistrato di sorveglianza, la cui valutazione caso per caso deve basarsi sulle relazioni del carcere nonché sulle informazioni e i pareri di varie autorità, dalla Procura antimafia o antiterrorismo al competente Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica.