Con le ordinanze n. 30 e n. 31 del 2023, depositate il 24 febbraio 2023, la Corte costituzionale ha esaminato le questioni di legittimità costituzionale, sollevate rispettivamente dal Tribunale di sorveglianza di Perugia e dal Magistrato di sorveglianza di Avellino, relative al c.d. regime ostativo e ha ordinato la restituzione degli atti ai giudici a quibus, a seguito dell’entrata in vigore del D.L. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, nella L. 30 dicembre 2022, n. 199, che ha inciso profondamente sulle disposizioni oggetto del giudizio di legittimità costituzionale. Spetterà, pertanto, ai rimettenti valutare la portata applicativa dello ius superveniens nei rispettivi giudizi a quibus.
Il Tribunale di sorveglianza di Perugia ha censurato, in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., l’art. 4-bis, co. 1, ord. penit., nella parte in cui non prevede che ai detenuti per i delitti diversi da quelli di contesto mafioso, ma comunque ostativi alla concessione dei benefici penitenziari e delle misure alternative alla detenzione, possa essere concesso l’affidamento in prova al servizio sociale, anche in assenza di collaborazione con la giustizia a norma dell’art. 58-ter ord. penit., allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere sia l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti.
Il Magistrato di sorveglianza di Avellino, a sua volta, ha dubitato, in riferimento agli artt. 3 e 27, co. 3, Cost., della legittimità costituzionale del medesimo art. 4-bis, co. 1, ord. penit., sollevando una questione assimilabile, nella sua formulazione, a quella proposta dal Tribunale di sorveglianza di Perugia, ma con riguardo a una richiesta di accesso, anziché all’affidamento in prova, alla misura della semilibertà, nella specifica ipotesi surrogatoria di cui all’art. 50, co. 2, ord. penit.
Secondo la Consulta, la nuova disciplina contenuta nel d.l. n. 162 del 2022, come convertito – che prevede l’integrale sostituzione del co. 1-bis dell’art. 4-bis ord. penit. e l’aggiunta di tre nuovi commi (1-bis.1, 1-bis.1.1 e 1-bis.2) – trasforma da assoluta in relativa la presunzione di pericolosità ostativa alla concessione dei benefici e delle misure alternative in favore dei detenuti non collaboranti, che vengono ora ammessi alla possibilità di farne istanza, sebbene in presenza di nuove, stringenti e concomitanti condizioni, diversificate a seconda dei reati che vengono in rilievo.
In particolare, i benefici possono essere concessi ai detenuti e agli internati per delitti di contesto mafioso e, in generale, di tipo associativo, purché costoro dimostrino l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilità di tale adempimento, nonché alleghino elementi specifici – diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale di eventuale appartenenza – che consentano di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato è stato commesso, nonché il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, tenuto conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile, nonché, ancora, della sussistenza di iniziative dell’interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa (art. 4-bis, co. 1-bis, ord. penit.).
La Corte ha ricordato che ai detenuti per i restanti reati indicati dal co. 1 dell’art. 4-bis ord. penit. si richiede il rispetto delle medesime condizioni, depurate, tuttavia, da indicazioni non coerenti con la natura dei reati che vengono in rilievo, sicché la richiesta allegazione deve avere ad oggetto elementi idonei a escludere l’attualità dei collegamenti con il contesto nel quale il reato è stato commesso, ma non anche il pericolo di ripristino dei collegamenti con tale contesto (art. 4-bis, co. 1-bis.1, ord. penit.).
Inoltre, il nuovo d.l. n. 162 del 2022, come convertito, prevede l’ampliamento delle fonti di conoscenza a disposizione della magistratura di sorveglianza e la modifica del relativo procedimento, nonché l’onere in capo al detenuto di fornire idonei elementi di prova contraria in caso di indizi, emergenti dall’istruttoria, dell’attuale sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva o con il contesto nel quale il reato è stato commesso, ovvero del pericolo di loro ripristino (cfr. art. 4-bis, co. 2, ord. penit.).
Alla luce di questa nuova normativa – che, come si legge nelle ordinanze qui pubblicate, rivela una modifica complessiva della disciplina interessata dalle questioni di legittimità costituzionale, tra l’altro incidente immediatamente sul nucleo essenziale delle questioni sollevate dalle due ordinanze di rimessione – la Consulta ha ritenuto necessario restituire gli atti ai giudici a quibus.
Ai giudici rimettenti spetta, dunque, sia verificare l’influenza della normativa sopravvenuta sulla rilevanza delle questioni sollevate, sia procedere alla rivalutazione della loro non manifesta infondatezza, tenuto conto delle intervenute modifiche normative.
Si può rilevare che la Corte costituzionale si è di recente pronunciata su questioni relative all’art. 4-bis, co. 1, ord. penit. e, in particolare, in tema di “ergastolo ostativo”, ritenendo ugualmente necessaria la restituzione degli atti al giudice rimettente, in forza dello ius superveniens (v. ord. cost., n. 227 del 2022; in precedenza, sulle stesse questioni esaminate nell’ord. n. 227 del 2022, la Corte aveva disposto due rinvii, al fine di consentire al legislatore di intervenire in modo organico sulla materia: ord. cost. n. 97 del 2021 e n. 122 del 2022).