La Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 41-bis, co. 2-quater, lett. a) e c), l. 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), sollevate, in riferimento agli artt. 15, 21, 33, 34 e 117, co. 1, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 3 e 8 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, dal Magistrato di sorveglianza di Spoleto, nella parte in cui tale disposizione – secondo il “diritto vivente” – consente all’amministrazione penitenziaria di adottare, tra le misure di elevata sicurezza interna ed esterna volte a prevenire contatti del detenuto in regime differenziato con l’organizzazione criminale di appartenenza o di attuale riferimento, il divieto di ricevere dall’esterno e di spedire all’esterno libri e riviste a stampa. Le questioni sottoposte all’esame della Consulta riguardano le modalità con le quali possono essere stabilite limitazioni in tema di acquisizione e circolazione di libri, riviste e stampa in genere nei confronti dei detenuti soggetti allo speciale regime di sospensione delle regole del trattamento, disposto dal Ministro della giustizia ai sensi dell’art. 41-bis, co. 2, ord. penit. Il rimettente ha individuato nell’intervento dell’autorità giudiziaria lo strumento idoneo ad un congruo bilanciamento tra le esigenze di sicurezza connesse alla lotta alla criminalità organizzata e l’esercizio dei diritti costituzionalmente tutelati, quali il diritto dei detenuti di essere informati, la libertà della corrispondenza, il diritto allo studio, il diritto del detenuto al mantenimento di relazioni esterne e della vita affettiva. Ha, pertanto, censurato l’art. 41-bis, co. 2-quater, ord. penit., interpretato secondo l’indirizzo giurisprudenziale consolidato della Corte di cassazione, ormai assorto a diritto vivente, per il quale le disposizioni della Circolare ministeriale del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria n. 8845/2011 del 16 novembre 2011 (ripristinate dalla Circolare n. 3701/2014 dell’11 febbraio 2014) – che avevano imposto delle limitazioni, vietando, tra l’altro, la ricezione di libri e riviste provenienti dai familiari, anche tramite pacco consegnato in sede di colloquio o spedito per posta, come pure la trasmissione del predetto materiale all’esterno da parte del detenuto – rappresentano coerente esplicazione di un potere conferito all’amministrazione penitenziaria dall’art. 41-bis ord. penit. Secondo la Corte, la non fondatezza della prospettazione del giudice a quo si apprezza con immediatezza quanto alle denunciate violazioni della libertà di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.), intesa nel suo significato passivo di diritto di essere informati, e del diritto allo studio (artt. 33 e 34 Cost.). Al detenuto non è impedito l’accesso alle letture preferite e al loro contenuto, ma gli è imposto di servirsi, per la relativa acquisizione, dell’istituto penitenziario, nell’ottica di evitare che il libro o la rivista si trasformi in un veicolo di comunicazioni occulte con l’esterno, di problematica rilevazione da parte del personale addetto al controllo. Resta fermo, peraltro, – ha rilevato la Corte – che la misura adottata dall’amministrazione penitenziaria in base alla norma denunciata, nella sua concreta operatività, non deve tradursi in una negazione surrettizia dei diritti del detenuto. Parimente, non è stata ritenuta fondata la censura di violazione della libertà di corrispondenza (art. 15 Cost.). L’ampia motivazione della sentenza su questo punto (n. 6) approda all’affermazione secondo cui, in assonanza con la giurisprudenza di legittimità, le regole attinenti alla trasmissione di libri e riviste non incidono sul diritto alla corrispondenza del detenuto, quale riconosciuto – in termini coerenti con la condizione di restrizione della libertà personale in cui egli versa e perciò non collidenti con la previsione dell’art. 15 Cost. – dalla legge di ordinamento penitenziario. Il Giudice delle leggi ha poi considerato già insita in quanto precedentemente rilevato la non fondatezza dell’ultima censura di violazione dell’art. 117, co. 1, Cost., in relazione agli artt. 3 e 8 della CEDU. Infatti, il richiamo all’art. 3, CEDU risulta inconferente: è palese che – in presenza di una immutata libertà di corrispondenza epistolare e di scelta dei testi con cui informarsi ed istruirsi – il mero fatto che il detenuto debba servirsi dell’istituto penitenziario per l’acquisizione della stampa, e non possa trasmetterla all’esterno, non determina livelli di sofferenza e di svilimento della sua persona tali da attingere al paradigma del divieto dei trattamenti inumani o degradanti sancito dalla citata norma convenzionale, che peraltro ha carattere assoluto. Quanto all’art. 8, CEDU, il divieto di scambiare libri e riviste con l’esterno non solo non incide affatto sulla segretezza della corrispondenza del detenuto (diversamente dal visto di controllo), ma neppure comprime la libertà di corrispondere a mezzo posta, già riconosciuta al detenuto dalla legge nazionale. Anche a voler ritenere che le limitazioni in discorso si traducano in ingerenze sul diritto al rispetto della vita familiare del detenuto, la Corte costituzionale ha rilevato come, nel caso di specie, vi sia una base legale nell’art. 41-bis, co. 2-quater, lett. a) e c), ord. penit. e, ancora, come le finalità della misura rientrino nel novero degli scopi legittimi di cui all’art. 8, § 2, CEDU, reputando, infine, sussistente – contrariamente a quanto assunto dal rimettente – il requisito della proporzionalità rispetto allo scopo. A.M. Capitta