Con la sentenza n. 173 del 2021, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 58-quater, co. 1, 2 e 3, L. 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., dal Magistrato di sorveglianza di Spoleto, nella parte in cui detti commi, nel loro combinato disposto, prevedono che non possa essere concesso, per la durata di tre anni, l’affidamento in prova al servizio sociale previsto dall’art. 47 ord. penit., al condannato nei cui confronti è stata disposta la revoca di una misura alternativa, ai sensi dell’art. 47, co. 11, dell’art. 47-ter co. 6 o dell’art. 51 co. 1, della medesima legge.
Nel solco delle valutazioni già espresse con l’ord. cost. n. 87 del 2004, la Consulta ha ritenuto che la preclusione censurata, pur indubbiamente severa e opinabile dal punto di vista delle scelte di politica penitenziaria, costituisca espressione della discrezionalità legislativa, non in contrasto con il principio costituzionale di finalizzazione rieducativa della pena (art. 27, co. 3, Cost.), e non irragionevole al punto da integrare una lesione ai sensi dell’art. 3 Cost. (in senso conforme, sent. cost. n. 50 del 2020).
La Corte ha rilevato che la preclusione in esame discende da una valutazione caso per caso da parte del giudice di sorveglianza, effettuata sulla base non già di presunzioni legate al titolo di reato o allo status di recidivo del condannato, ma del percorso da lui concretamente compiuto durante l’esecuzione della pena e, in particolare, di specifiche condotte poste in essere in violazione delle prescrizioni inerenti alla misura alternativa.
Il Giudice delle leggi ha precisato che neppure le ulteriori pronunce costituzionali richiamate dal rimettente (v. sent. cost. n. 436 del 1999; n. 189 del 2010; n. 187 del 2019) dimostrano il carattere irragionevole e contrario al principio rieducativo della preclusione triennale censurata. Tra queste, la più recente, n. 187 del 2019, ha ritenuto costituzionalmente illegittima la preclusione in parola, ma in riferimento al solo art. 31 Cost. e con riguardo alla sola detenzione domiciliare per esigenze di cura dei minori. L’interesse primario che la Corte ha inteso tutelare in quell’occasione è stato, dunque, non tanto quello alla rieducazione del condannato, quanto quello del minore a essere accudito da almeno uno dei genitori (cfr., volendo, A.M. CAPITTA, Revoca della misura alternativa e detenzione domiciliare per la cura dei minori: la Consulta rimuove l’automatismo ma continua a imporre la regola di giudizio, in questa Rivista online, 2019, n. 2, 1 ss.).
Infine, la Corte costituzionale non ha mancato di evidenziare come resti comunque affidata alla discrezionalità del legislatore la valutazione se e in che misura il rigore della disciplina censurata possa essere attenuato, anche in relazione al rischio che la preclusione triennale da essa stabilita conduca a rendere improbabile non solo un secondo accesso alle misure alternative, ma anche il godimento dei più limitati benefici del permesso premio e del lavoro all’esterno del carcere durante la successiva esecuzione della pena.