Con sentenza emessa il 16 gennaio scorso e depositata il 20 febbraio, in ordine alla questione sollevata dal TAR Marche e dal Tribunale Ordinario di Lecco con riguardo, rispettivamente, all’art. 3 e agli artt. 4, 16 e 35 Cost., la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, ai sensi del solo art. 3 Cost., dell’art. 120, comma 2, del d.lgs. 285/1992 (Nuovo codice della strada) - come sostituito dall’art. 3, comma 52, lett. a), della L. 94/2009 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica) e poi modificato dall’art. 19, comma 2, lett. a) e b), della L. 120/2010 (Disposizioni in materia di sicurezza stradale) e dall’art. 8, comma 1, lett. b), del d.lgs. 59/2011 (Attuazione delle direttive 2006/126/CE e 2009/113/CE concernenti la patente di guida) - nella parte in cui dispone che il prefetto “provvede” – invece che “può provvedere” – alla revoca della patente di guida nei confronti di coloro che sono sottoposti a misura di sicurezza personale.
Nel merito - riconosciuta l’ammissibilità della questione prospettata dal giudice amministrativo in quanto, seppure i provvedimenti adottati ai sensi dell’impugnata disposizione rientrano nella cognizione del giudice ordinario, ove fondata, essa è comunque destinata ad esplicare i suoi effetti anche sulla giurisdizione amministrativa in quanto la discrezionalità, in luogo dell’automatismo, del provvedimento prefettizio di revoca della patente, renderebbe la posizione soggettiva da esso incisa di interesse legittimo - la Corte, richiamando il precedente della sentenza n. 22/2018 con cui già era stata accolta analoga questione con riguardo all’ipotesi di condanna per i reati di cui agli artt. 73 e 74 del DPR 309/1990 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), censura, ancora una volta, il fatto che la sopravvenienza di una condizione ostativa al mantenimento del titolo abilitativo risulta indifferenziatamente ricollegata ad una pluralità di fattispecie non sussumibili in termini di omogeneità, poiché connotate dalla pericolosità, più o meno grave, del soggetto e dalla varietà e diversa durata delle misure di sicurezza personali previste dall’art. 215 c.p. ovvero da leggi speciali: misure che, ove non detentive (come la libertà vigilata, i divieti di soggiorno in determinati comuni o province e di frequentazioni di osterie), sono peraltro compatibili con la possibilità di utilizzare il titolo di abilitazione alla guida.
Con riferimento, in particolare, ai soggetti sottoposti a misure di sicurezza personali (inclusa la libertà vigilata in rilievo in entrambi i casi a quibus), risulta così frustrata quella fondamentale esigenza di individualizzazione che sta alla base della discrezionalità rimessa al giudice quanto al tipo di misura, alla durata da computare e alle prescrizioni da osservare, unitamente alla finalità di tutelare esigenze personali, familiari e lavorative, da valutarsi caso per caso senza ricorrere a rigidi automatismi.
Né, tantomeno, la Corte omette di ribadire l’ulteriore contraddizione in cui, in tal modo, l’ordinamento irragionevolmente incorre laddove, nei confronti del medesimo soggetto e in relazione alla stessa condizione di pericolosità sociale, lascia al magistrato di sorveglianza la possibilità di consentire l’uso della patente di guida mentre al prefetto impone il provvedimento di revoca.