Con la sentenza n. 127 del 2021, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 438, co. 6, e 458, co. 2, c.p.p., sollevate, in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost., dal Tribunale ordinario di Lecce, nella parte in cui tali disposizioni non prevedono che, nel caso in cui il G.i.p. rigetti la richiesta di giudizio abbreviato condizionato, l’imputato possa tempestivamente, nella fase dedicata alle questioni preliminari, riproporre la richiesta di rito alternativo al giudice del dibattimento, e che questo possa sindacare la decisione del G.i.p. e ammettere il rito chiesto dall’imputato. La Corte ha inoltre ordinato la trasmissione degli atti del giudizio al Procuratore generale presso la Corte di cassazione per gli eventuali provvedimenti di competenza, per aver il giudice procedente disposto la prosecuzione del giudizio a quo, nonostante la pendenza dell’incidente di costituzionalità.
La Consulta ha ritenuto le questioni inammissibili, in ragione della erroneità delle premesse interpretative da cui ha mosso il rimettente, il quale lamenta una lacuna in realtà non sussistente, stante la perdurante operatività della sentenza n. 169 del 2003 in relazione alle disposizioni censurate.
Infatti, con la decisione qui richiamata, la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 438, co. 6, c.p.p. «nella parte in cui non prevede che, in caso di rigetto della richiesta di giudizio abbreviato subordinata ad una integrazione probatoria, l’imputato possa rinnovare la richiesta prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado e il giudice possa disporre il giudizio abbreviato» (sent. cost. n. 169 del 2003). Con la medesima decisione, e in relazione ad analoga censura, è stato dichiarato illegittimo anche l’art. 458, co. 2, c.p.p., attribuendo così all’imputato, in sede di giudizio immediato, la facoltà di riproporre nelle fasi preliminari del dibattimento la richiesta di rito abbreviato già respinta dal G.i.p.
Le leggi successive alla sentenza n. 169 del 2003, secondo i Giudici costituzionali, hanno introdotto soltanto “modificazioni aggiuntive” alle norme previgenti e dunque non possono essere interpretate come espressive di una volontà del legislatore di derogare al decisum della sentenza medesima. La pronuncia costituzionale del 2003 – ha ribadito la Corte – continua a spiegare i propri effetti anche dopo le modifiche apportate agli artt. 438, co. 6, e 458, co. 2, c.p.p., rispettivamente, dalla legge n. 33 del 2019 e dalla legge n. 103 del 2017.
Pertanto, le questioni sollevate sono state dichiarate inammissibili (sulla inammissibilità di questioni relative a disposizioni già dichiarate costituzionalmente illegittime e pertanto divenute prive di oggetto, v., ex plurimis, ord. cost. n. 125 e 105 del 2020).