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La Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, co. 1, lett. a), d. lgs. 31 dicembre 2012, n. 235 (Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell’art. 1, co. 63, l. 6 novembre 2012, n. 190), in relazione all’art. 10, co. 1, lett. c), del medesimo d. lgs., sollevata, in riferimento agli artt. 2, 4, co. 2, 51, co. 1, e 97, co. 2, Cost., dal Tribunale amministrativo regionale per la Campania, nella parte in cui tale disposizione prevede che sono sospesi di diritto dalle cariche indicate al co. 1 del precedente art. 10 – vale a dire, dalle cariche di presidente della provincia, sindaco, assessore e consigliere provinciale e comunale – coloro che hanno riportato una condanna non definitiva per uno dei delitti indicati alle lett. a), b) e c) dello stesso art. 10, co. 1.
Con la sentenza qui in rassegna, i Giudici della Consulta hanno, dunque, statuito nel senso della legittimità costituzionale della disposizione della c.d. legge Severino in cui si prevede la sospensione degli amministratori locali (nella specie, sindaco del Comune di Napoli) che abbiano riportato una condanna non definitiva per determinati delitti contro la pubblica amministrazione (nella fattispecie, condanna in primo grado per il delitto di abuso di ufficio di cui all’art. 323 c.p.).
La decisione si segnala per il particolare rilievo che assume sia sul piano sistematico, là dove esclude la natura sanzionatoria della sospensione, sia con riguardo al principio di irretroattività, là dove chiarisce che l’applicazione della nuova causa ostativa, prevista dalla norma censurata, a un mandato già in corso non produce un sacrificio eccessivo del diritto di elettorato passivo di cui all’art. 51 Cost. La Corte ha ritenuto ragionevole che una condanna (ancorché non definitiva) per determinati delitti susciti l’esigenza cautelare di sospendere temporaneamente il condannato dalla carica, per garantire la “credibilità” dell’amministrazione presso i cittadini ed il rapporto di fiducia che lega la prima ai secondi (in senso conforme, sent. n. 118 del 2013, n. 257 del 2010, n. 352 del 2008, n. 145 del 2002, n. 25 del 2002, n. 206 del 1999, n. 141 del 1996; contra, sent. n. 239 del 1996). Nella pronuncia in esame non viene esplicitamente affrontato il delicato problema della compatibilità costituzionale di questa disposizione della legge Severino con il principio della presunzione d’innocenza, posto che il parametro di cui all’art. 27, co. 2, Cost. non è neppure stato richiamato dal rimettente. Peraltro, sul punto, la Consulta, se da un lato ha riconosciuto come la condanna non definitiva non autorizzi a presumere accertata l’esistenza di «una situazione di indegnità morale», dall’altro ha ritenuto evidentemente prioritaria l’esigenza di tutelare gli «interessi costituzionali protetti dall’art. 97, co. 2, Cost., che affida al legislatore il compito di organizzare i pubblici uffici in modo che siano garantiti il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione, e dall’art. 54, co. 2, Cost., che impone ai cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche il dovere di adempierle con disciplina ed onore».
A.C.