Pubblicato in: Giurisprudenza Costituzionale

Spese di giustizia – Corte cost., n. 3 del 2019

Spese di giustizia – Corte cost., n. 3 del 2019 (A. Capitta) La Corte costituzionale ha dichiarato non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 204 e 205, co. 1, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», sollevate, in riferimento all’art. 3 Cost., dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Venezia. Il giudice rimettente ha dubitato della legittimità costituzionale dell’art. 205, co. 1, d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui dispone che le spese del processo penale anticipate dall’erario sono recuperate nei confronti di ciascun condannato nella misura fissa stabilita con decreto del Ministro della giustizia, e dell’art. 204 dello stesso d.P.R., nella parte in cui prevede che, nel caso di decreto di condanna emesso ai sensi dell’art. 460 c.p.p., si procede al recupero delle spese per la custodia dei beni sequestrati. La Consulta muove da una interpretazione costituzionalmente orientata del novellato art. 205, d.P.R. n. 115 del 2002, secondo cui tale disposizione, letta congiuntamente al precedente art. 204 e agli artt. 1 e 2, d.m. n. 124 del 2014, ha solo ampliato, seppur notevolmente, il catalogo delle spese processuali forfettizzate, ma non ha alterato la regola generale – quella di cui all’art. 535, co. 1, c.p.p., che pone a carico di tutti i condannati l’obbligo del pagamento delle spese processuali con le sole eccezioni della condanna per decreto e del patteggiamento – la quale, con le limitate due eccezioni suddette, è operante senza essere scalfita dalla mancata espressa previsione del quantum debeatur limitatamente alle spese di conservazione delle cose in sequestro. La Corte ha altresì specificato che il recupero delle spese processuali per l’intero costituisce criterio generale di chiusura, operante fino a quando non ne sia previsto uno diverso, sicché le spese di custodia delle cose in sequestro, non essendo contenute nell’elenco delle spese forfettizzate (di cui all’art. 1, d.m. n. 124 del 2014), non possono che gravare, per l’intero, a carico dell’imputato. In chiave di interpretazione adeguatrice – ha concluso il Giudice delle leggi – va dunque corretto il presupposto sul quale si sono basate le censure del rimettente: anche il condannato, in generale, è tenuto al pagamento delle spese di custodia dei beni in sequestro, sicché non sussiste la denunciata disparità di trattamento con riguardo al condannato per decreto che parimenti è tenuto allo stesso obbligo di pagamento.

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