Con la sentenza n. 102/2020 depositata il 29 maggio all’esito dell’udienza del 6 maggio, in relazione alle questioni di legittimità sollevate con ordinanza del 21 giugno 2019 dalla sesta sezione penale della Corte di Cassazione, la Corte - ferma l’inammissibilità, quanto al profilo della rilevanza nel giudizio a quo e della inconferenza dell’art. 10 comma 1 Cost. rispetto al diritto internazionale pattizio invocato dal remittente delle questioni riguardanti gli artt. 34 e 574-bis c.p., in riferimento agli artt. 2, 3, 27, terzo comma, 30 e 31 della Costituzione, nonché all’art. 10 Cost., in relazione alla Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176 - ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 574-bis, terzo comma c.p. per contrasto con gli artt. 2, 3, 30 e 31 Cost., nella parte in cui prevede che la condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di sottrazione e mantenimento di minore all’estero ai danni del figlio minore comporta la sospensione dell’esercizio della responsabilità genitoriale, anziché la possibilità per il giudice di disporre la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale. Dopo un breve inquadramento del contesto normativo di riferimento, la Corte fa leva, nel merito, sul principio desumibile dall’art. 30 Cost. in base al quale nelle decisioni concernenti il minore deve essere sempre ricercata «la soluzione ottimale “in concreto” per l'interesse del minore che più garantisca, soprattutto dal punto di vista morale, la miglior “cura della persona”» come considerato già in diverse pronunce (sentenze nn. 11/1981; 239/2014; 17/2017; 272/2017; 187/2019). Quanto, poi, agli artt. 2 e 30 Cost. si sancisce che, alla luce dei corrispondenti obblighi internazionali (artt. 8 comma 1 e 9 comma 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo; art. 24 comma 3 CDFUE; sentenze Corte EDU 10 settembre 2019, Strand Lobben e a. contro Norvegia, 28 aprile 2016 Cincimino c. Italia, 12 luglio 2001 K. E T. c. Finlandia, 13 luglio 2000 Elsholz c. Germania, 7 agosto 1996 Johansen c. Norvegia), il dovere dei genitori di educare i figli non può che presupporre il correlativo diritto inviolabile di questi ultimi di essere educati da entrambi i genitori e, quindi, di vivere con loro una relazione diretta e personale, salvo che essa risulti in concreto pregiudizievole per i propri interessi. Ne deriva che, analogamente a quanto già affermato in tema di accesso alla detenzione domiciliare (sent. 211/2018), la censura relativa all’automatismo nell’applicazione della sanzione, che impedirebbe al giudice di ricercare la soluzione ottimale per il minore nella situazione concreta, nonché l’eventuale sussistenza di una violazione del suo diritto alle relazioni personali con entrambi i genitori, appare riconducibile, infine, all’ambito applicativo dell’art. 3 Cost. che, come noto, vieta irragionevoli equiparazioni di trattamento di situazioni differenziate. Né, ad avviso della Corte, può diversamente valere il carattere intrinsecamente offensivo del pur grave delitto di cui all’art. 574-bis c.p. atteso che, invero, la pena accessoria colpisce direttamente, accanto al condannato, anche il minore, che di tale relazione è il co-protagonista, con effetti peraltro non trascurabili con riguardo allo stesso principio di personalità dell’art. 27 comma 1 Cost. Oltre al fatto che, nell’ambito della medesima incriminazione, rientrano fatti assai diversi quanto alla concreta dimensione offensiva per l’interesse del minore. Ma, soprattutto, la disposizione censurata non considera la possibile successiva evoluzione delle relazioni tra il figlio minore e il genitore già autore del reato medesimo essendo destinata ad applicarsi soltanto dopo il passaggio in giudicato della sentenza. Ciò posto, in continuità con l’orientamento ormai assunto al riguardo (sentenze nn. 31/2012 o 7/2013), la Corte procede a dare attuazione ai richiamati vincoli costituzionali sostituendo - nelle sole ipotesi dell’art. 574-bis c.p. e non già in tutte quelle generalmente previste all’art. 34 comma 2 c.p. - l’attuale automatismo con il dovere di valutazione caso per caso, da parte dello stesso giudice penale, chiamato ora a stabilire, sulla base della situazione esistente al momento della pronuncia della sentenza di condanna e dell’evoluzione delle circostanze successive al fatto di reato, se l’applicazione della pena accessoria in questione costituisca in concreto la soluzione ottimale per il minore.