Con sentenza n. 187 del 22 maggio 2019, in accoglimento della questione sollevata dalla Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione con ordinanza del 13 luglio 2018, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 58-quater, commi 1, 2 e 3, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui, nel loro combinato disposto, prevedono che non possa essere concessa, per la durata di tre anni, la detenzione domiciliare speciale, prevista dall’art. 47-quinquies della medesima legge, al condannato nei cui confronti è stata disposta la revoca di una delle misure indicate nel comma 2 dello stesso art. 58-quater e, in via consequenziale, delle medesime disposizioni, nella parte in cui prevedono che neppure possa essere concessa, per la durata di tre anni, la detenzione domiciliare, prevista dall’art. 47-ter, comma 1, lettere a) e b), della stessa legge n. 354 del 1975, al condannato nei cui confronti è stata disposta la revoca di una delle misure indicate al comma 2 dello stesso art. 58-quater, sempre che non sussista un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti.
La premessa della questione sollevata ex officio dal ricorrente sta nel fatto che la detenzione domiciliare speciale non si sottrae ai divieti cui è soggetta la detenzione domiciliare “ordinaria” ai sensi dei primi tre commi dell’art. 58-quater, a differenza di quanto accade per l’affidamento in prova, ove lo stesso comma 1 ha cura di indicare che la preclusione ivi stabilita si applica ai casi previsti dall’art. 47 ordin. penit., con conseguente chiara esclusione dei casi di affidamento in prova previsto per i detenuti tossicodipendenti, originariamente previsto dall’art. 47-bis ordin. penit. e oggi disciplinato dall’art. 94 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Così interpretato l’oggetto, il parametro viene individuato negli artt. 3, primo comma, 29, primo comma, 30, primo comma, e 31, secondo comma, Cost.
La Corte, ricostruita l’evoluzione storica della detenzione domiciliare (dalla L. 663/1986, L. 165/1998, LL. 40 e 62/2011 sino al suo stesso intervento estensivo di cui alla sentenza n. 76/2017), riconosce che dal combinato disposto dei censurati primi tre commi dell’art. 58-quater ordin. penit., deriva, in effetti, la preclusione come censurata dal ricorrente, affermandone il contrasto col solo art. 31, secondo comma, Cost. in virtù della speciale rilevanza, anche in considerazione anche del quadro convenzionale di riferimento (artt. 3, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176, e 24, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007), dell’interesse del figlio minore a mantenere un rapporto continuativo con ciascuno dei genitori dai quali ha diritto di ricevere cura, educazione e istruzione, come già chiarito, peraltro, nelle diverse sentenze puntualmente richiamate in motivazione (n. 177/2009, 239/2014, 76/2017, 174/2018 e 211/2018) dalle quali può desumersi il principio per cui «affinché l’interesse del minore possa restare recessivo di fronte alle esigenze di protezione della società dal crimine occorre che la sussistenza e la consistenza di queste ultime venga verificata […] in concreto […] e non già collegata ad indici presuntivi […] che precludono al giudice ogni margine di apprezzamento delle singole situazioni».
Ne deriva, ad avviso della Corte, che l’assoluta impossibilità per il condannato, madre o padre, di accedere al beneficio della detenzione domiciliare speciale prima che sia decorso un triennio dalla revoca di una precedente misura alternativa sacrifica infatti a priori – e per l’arco temporale di un intero triennio, che come osserva giustamente il rimettente è un periodo di tempo lunghissimo nella vita di un bambino – l’interesse di quest’ultimo a vivere un rapporto quotidiano con almeno uno dei genitori, precludendo al giudice ogni bilanciamento tra tale basilare interesse e le esigenze di tutela della società rispetto alla concreta pericolosità del condannato.
Non si omette, infine, di rilevare che, in ogni caso, le esigenze di tutela della società possano e debbano trovare adeguata considerazione in sede di valutazione, da parte del tribunale di sorveglianza, dei presupposti della concessione della misura, con particolare riguardo all’assenza di «un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti» da parte del condannato (art. 47-quinquies, comma 1, ordin. penit.). Laddove, per il padre, il beneficio va comunque concesso soltanto ove la madre sia deceduta o impossibilitata e non vi sia modo di affidare la prole ad altri che a lui. A ciò si aggiunge la possibilità per il tribunale di sorveglianza di subordinare la concessione della misura a particolari prescrizioni (ad esempio, il divieto di allontanarsi dal luogo a cui è assegnato, salve specifiche autorizzazioni da parte del giudice) la cui violazione può, d’altra parte, dar luogo alla revoca della misura stessa.