Con la sentenza n. 156 depositata il 21 luglio 2020 la Corte, in accoglimento della questione sollevata dal Tribunale di Taranto con ordinanza del 12 luglio 2019, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 131-bis c.p., come inserito dall’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 16 marzo 2015, n. 28 (recante «Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera m), della legge 28 aprile 2014, n. 67»), per contrasto con l’art. 3 Cost., nella parte in cui non consente l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ai reati per i quali non è previsto un minimo edittale di pena detentiva.
Premessa una ricostruzione storica dell’istituto - teso, da un lato, a riaffermare la natura di extrema ratio della pena e agevolare la rieducazione del condannato e, dall’altro, a contenere il gravoso carico di contenzioso penale gravante sulla giurisdizione (ord. n. 279/2017) - e la sua qualificazione giuridica - nei termini di “generale causa di esclusione della punibilità” da rapportare a un “tasso di offensività marcatamente ridotto” (sent. n. 120/2019) previa valutazione complessiva di tutte le peculiarità del caso concreto come previste dall’art. 133 comma 1 c.p. - la Corte, muove da quanto già affermato nella sent. n. 207/2017 nella quale, pur ritenendo non fondate, in riferimento agli artt. 3, 13, 25 e 27 Cost., nel rispetto della discrezionalità legislativa, le questioni di legittimità costituzionale della impugnata disposizione nella parte in cui non estende l’applicabilità dell’esimente all’ipotesi attenuata di cui all’art. 648 c.p. a motivo del massimo edittale di pena detentiva superiore ai cinque anni, si era tuttavia già rilevata, non senza ammonire il legislatore a farsene carico, l’“anomalia” di simile comminatoria, in ragione dell’inconsueta ampiezza dell’intervallo tra minimo e massimo di pena detentiva (da quindici giorni a sei anni di reclusione), della larga sovrapposizione con la cornice edittale della fattispecie non attenuata (da due anni a otto anni), nonché dell’asimmetria scalare tra gli estremi del compasso, giacché “mentre il massimo di sei anni, rispetto agli otto anni della fattispecie non attenuata, costituisce una diminuzione particolarmente contenuta (meno di un terzo), al contrario il minimo di quindici giorni stabilito ai sensi dell’art. 23 comma 1 c.p., rispetto ai due anni della fattispecie non attenuata, costituisce una diminuzione enorme” e, in particolare, richiama per necessità logica l’eventualità applicativa dell’esimente di particolare tenuità del fatto. Detto altrimenti – ad avviso della Corte – la possibilità dell’irrogazione della pena detentiva nella misura minima assoluta rivela inequivocabilmente che il legislatore prevede possano rientrare nella sfera applicativa della norma incriminatrice anche condotte della più tenue offensività rispetto alle quali appare dunque manifestamente irragionevole l’aprioristica esclusione dell’applicazione dell’esimente di cui all’art. 131-bis c.p. Ferma restando, da un lato, la facoltà del legislatore di fissare un minimo relativo di portata generale al di sotto del quale l’applicazione dell’esimente di cui all’art. 131-bis c.p. non potrebbe essere preclusa dall’entità del massimo edittale; dall’altro la possibilità, nel caso di reato privo di minimo edittale di pena detentiva, di non riconoscere comunque l’esimente ove la valutazione giudiziale di cui all’art. 133, comma 1, c.p. sia negativa per l’autore del fatto o la condotta di questi risulti abituale ovvero, ancora, quando ricorra una fattispecie tipica di non tenuità tra quelle elencate dal secondo comma dello stesso art. 131-bis c.p.