Con la sentenza n. 96 del 2021, depositata l’11 maggio 2021, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, co. 1, lett. d), D.L. 30 aprile 2020, n. 28 (Misure urgenti per la funzionalità dei sistemi di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure urgenti in materia di ordinamento penitenziario, nonché disposizioni integrative e di coordinamento in materia di giustizia civile, amministrativa e contabile e misure urgenti per l’introduzione del sistema di allerta Covid-19), convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, sollevate, in riferimento agli artt. 70 e 77 Cost., dal Tribunale ordinario di Spoleto, nella parte in cui questa disposizione, introducendo l’ultimo periodo nel co. 12-bis dell’art. 83, D.L. 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19), convertito, con modificazioni, nella L. 24 aprile 2020, n. 27, ha stabilito «in aperto contrasto» con tale legge di conversione che, nel periodo compreso tra il 9 marzo e il 31 luglio 2020, «la modalità ordinaria di partecipazione all’udienza penale fosse quella “in presenza”».
Il giudice rimettente ha ritenuto che la norma censurata – là dove prevede che le disposizioni relative allo svolgimento delle udienze penali mediante collegamento telematico non si applicano, salvo consenso delle parti, alle udienze di discussione finale, in pubblica udienza o in camera di consiglio, e a quelle nelle quali devono essere esaminati testimoni, parti, consulenti o periti – ha, nella sostanza, ripristinato quella “in presenza” come modalità ordinaria di svolgimento di tali udienze e, pertanto, sia in contrasto con gli artt. 70 e 77 Cost.
La Consulta, ricostruito il quadro normativo entro cui si colloca la disposizione in esame, ha rilevato che la disciplina succedutasi sul tema ha risentito anzitutto della necessità di trovare un ragionevole punto di sintesi tra il contenimento del contagio e la garanzia dei diritti della difesa, ma poi anche della esigenza di calibrare le diverse risposte normative e, in particolare, quella riguardante l’estensione dei presupposti per fare ricorso all’udienza penale in modalità telematica, sulla base dell’andamento della diffusione del contagio. La Corte ha altresì osservato che, con la norma censurata, il Governo ha adempiuto alla richiesta di modifica contenuta negli ordini del giorno recepiti dal Governo medesimo nel corso del procedimento di approvazione, da parte della Camera dei deputati, della legge di conversione, poi pubblicata come legge n. 27 del 2020. Secondo i Giudici costituzionali, peraltro, non è privo di rilievo che la disposizione censurata sia stata convertita dal Parlamento, senza modificazione alcuna, con la legge n. 70 del 2020.
Passando all’esame delle questioni sollevate, la Consulta ha ritenuto che, nel caso di specie, il rimettente non poteva dare applicazione alla disposizione di cui ha dedotto l’illegittimità costituzionale, non avendo egli per tempo assolto all’obbligo di interpello delle parti previsto dall’art. 83, co. 12-bis, d.l. n. 18 del 2020, come convertito. Pertanto – ha concluso la Corte costituzionale – le questioni difettano del necessario requisito della rilevanza (v., ex multis, sent. cost. n. 102 del 2016; ord. cost. 214 del 2018) e devono essere dichiarate inammissibili.