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Ad integrare gli estremi dell’aggravante della finalità di agevolazione mafiosa di cui all’art. 7 d.l. n. 152 del 1991, non basta la raggiunta consapevolezza del reo circa il ruolo che il corruttore aveva nell’ambito della criminalità organizzata e circa la ridondanza delle sue condotte in favore del gruppo camorristico, poiché la norma evoca un effetto intenzionale della condotta, riconducibile al piano del movente. In particolare, è necessario che l’effetto di favore per il gruppo criminale costituisca lo scopo almeno concorrente dell’agire delittuoso, che è cosa diversa dalla conseguenza accettata, in termini di maggiore o minore probabilità, del comportamento tenuto.
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Segnaliamo la sentenza in epigrafe come di estremo interesse, sia perché sovverte un precedente orientamento della Corte, che riteneva sufficiente in capo al reo la consapevolezza delle possibili conseguenze e non necessario l’agire intenzionale (Cass. Sez. V, 12 novembre 2013, rv. 258951; 4 febbraio 2015, rv. 262713), sia perché, individuando un criterio discretivo di natura eminentemente soggettiva, apre la strada ad una rivisitazione delle conclusioni circa la natura oggettiva della circostanza (nei termini, da ultimo, Cass. Sez. V, 8 marzo 2013, rv. 255206).
Tale interpretazione innovativa, tecnicamente riconducibile alle distinzioni consuete a proposito delle forme del dolo (intenzionale, diretto, eventuale), sembra basata sulla lettera della norma, ma potrebbe far sorgere qualche perplessità sul piano politico-criminale, segnando, più in generale, un arretramento nella delineazione del campo della individuazione della contiguità mafiosa e la rinuncia a colpire una tipologia criminale di “sostegno” indiretto, connotata da percorsi paralleli alla compagine mafiosa, che vivono in simbiosi con essa e prosperano alla sua ombra. Nella specie l’aggravante verrà esclusa (dal giudice di rinvio) nei confronti di un sottufficiale dei carabinieri che si è prestato ad uno scambio corruttivo con un esponente di rilievo della criminalità organizzata, laddove risulti che egli si sia mosso da un mero intento lucrativo, pur avendo la certezza della potenziale «ridondanza» positiva del patto stipulato sull’attività del clan malavitoso.
La massima presenta una potenziale incidenza anche sulla controversa materia del dolo nel concorso esterno nell’associazione mafiosa, poiché sul piano sistematico sembra difficile richiedere un dolo bel più qualificato per far scattare una mera aggravante e accontentarsi del dolo diretto come fondativo della responsabilità in capo al concorrente esterno.
Inoltre, nel caso di specie, la Cassazione finisce per richiedere un identica struttura del dolo (intenzionale) in entrambi i soggetti della corruzione (corrotto e corruttore), il che potrebbe aprire la strada ad una rimeditazione suggestiva dell’intera tematica del dolo nel concorso di persone nel reato.
D.B.