Art. 3 (sostanziale e processuale) – Trattamenti inumani e degradanti – Assistenza sanitaria inadeguata (Corte EDU, Sez. II, 17 gennaio 2023, Machina c. Moldavia, n. 69086/14).

Pubblicato il 18 gennaio 2023

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto violato l’art. 3 C.e.d.u. da parte della Moldavia per trattamenti inumani e degradanti per non aver le autorità interne adottato misure idonee ad impedire la trasmissione del virus dell’epatite C ai danni della detenuta ricorrente e, una volta avvenuto il contagio, per non averle offerto le adeguate cure.

Nel dettaglio, al momento del suo arrivo in carcere la ricorrente non è stata sottoposta a screening per alcuna malattia trasmissibile come il virus dell'immunodeficienza umana (HIV) o l'HCV, sebbene il suo precedente uso di droghe fosse annotato nella sua cartella clinica. Il 15 febbraio 2012, un esame del sangue effettuato su richiesta della detenuta per indagare sulla causa di un dolore al fianco destro ha rivelato che era infetta da epatite C. (§ 6).
La ricorrente ha pertanto affermato di essere stata infettata durante un intervento odontoiatrico in carcere e che, una volta contratta la malattia, non le sono state fornite adeguate cure mediche in relazione alle sue condizioni di salute, che hanno così continuato a peggiorare durante la sua detenzione. (§ 31)
La ricorrente ha inoltre posto in evidenza come le Autorità nazionali, non avendo giudicato credibili le sue denunce, non hanno condotto alcuna indagine a carico dell’istituto penitenziario.
Investita della questione, la Corte EDU ha ribadito che la responsabilità primaria dei funzionari penitenziari incaricati di una struttura di detenzione è quella di garantire adeguate condizioni di detenzione, compresa un'assistenza sanitaria adeguata per i detenuti. Ne consegue che una denuncia di atti negligenti da parte del personale medico penitenziario che comportano la trasmissione di un'infezione pericolosa per la vita metterebbe necessariamente in discussione il modo in cui l'amministrazione penitenziaria ha assolto i propri doveri e rispettato i requisiti legali interni (§ 37).
A tal proposito, è stato ricordato che i requisiti imposti a uno Stato in materia di salute dei detenuti possono differire a seconda che la malattia contratta sia trasmissibile o non trasmissibile e che la diffusione delle malattie trasmissibili e, in particolare, della tubercolosi, dell'epatite e dell'HIV/AIDS, dovrebbe costituire un problema di salute pubblica, soprattutto nell'ambiente carcerario […] (§ 38).
Nel caso di specie, […] le autorità nazionali non hanno svolto alcuna indagine – interna, disciplinare o penale – per valutare il rischio di infezione in carcere attraverso i servizi dentistici […] (§ 39).
La Corte ha anche ricordato come l'obbligo di indagare, che deriva dagli articoli 1 e 3 della Convenzione, “non è un obbligo di risultati, ma di mezzi” […]. Ciò significa che le autorità nazionali non sono obbligate a giungere a una conclusione che coincida con il resoconto degli eventi del ricorrente. Tuttavia, qualsiasi indagine condotta dalle autorità dovrebbe, in linea di principio, essere in grado di portare all'accertamento dei fatti del caso e all'eventuale identificazione e sanzione dei responsabili. Pertanto, un'indagine su gravi accuse di trattamento contrario all'articolo 3 della Convenzione deve essere approfondita e le autorità devono sempre compiere un serio tentativo di scoprire cosa sia successo (§ 41).
Sulla base di queste premesse i giudici di Strasburgo hanno concluso che il mancato svolgimento senza indugio di un'indagine e di un controllo da parte delle autorità penitenziarie competenti deve ritenersi incompatibile con l'obbligo generale dello Stato convenuto di adottare misure efficaci misure volte a prevenire la trasmissione dell'HCV e di altre malattie contagiose nelle carceri, e che c'è stata di conseguenza una violazione dell'Articolo 3 della Convenzione a causa della mancata prevenzione della trasmissione dell’epatite C in carcere.
Nel caso di specie, la Corte ha rilevato un’ulteriore violazione dell’art. 3 CEDU per non avere lo Stato convenuto adempiuto al proprio obbligo positivo di fornire alla ricorrente un trattamento adeguato alla sua condizione. Invero, i giudici di Strasburgo hanno rilevato l’assenza di una qualsivoglia prova che la detenuta sia mai stata esaminata da un medico specialista […] (§ 49), posto che nella sua cartella sanitaria erano annotati soltanto controlli sanitari di carattere generale.
Alla luce di tanto, la Corte europea ha ritenuto non rispettati i principi di cui all’art. 3 C.E.D.U. da parte della Moldavia, riconoscendo alla ricorrente, alla luce del trattamento inumano e degradante subito, la corresponsione della cifra di euro 9.800 a titolo di danni morali.