Art. 8 – Obblighi positivi – Figli costretti, per tre anni, ad incontri con il padre violento in un ambiente non protettivo e sospensione della potestà genitoriale della madre a loro ostile – bilanciamento di interessi coinvolti – Pratica diffusa dei tribunali di qualificare come genitori "non cooperativi" le donne che si oppongono all'incontro dei figli con l'ex coniuge citando atti di violenza domestica (Corte EDU, Sez. I, 10 novembre 2022, I.M. e altri c. Italia, n. 25426/20).

Pubblicato in data 11 novembre 2022

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha riscontrato una violazione dell’art. 8 C.e.d.u. da parte dell’Italia per non aver le Autorità interne protetto il diritto al rispetto della vita privata e familiare di una donna e dei suoi due figli nell’ambito degli incontri svolti con il padre, uomo violento, tossicodipendente ed alcolista.

La vicenda si sviluppa in un contesto familiare caratterizzato dalle violenze di un uomo nei confronti della ricorrente. A seguito della rottura del rapporto tra i due, seguita da un procedimento penale a carico dell’uomo per maltrattamenti in famiglia tutt’ora pendente, quest’ultimo è stato autorizzato dal Tribunale ad incontrare i suoi due figli in modalità protetta, con la presenza di uno psicologo (§ 10).
In data 29 settembre 2015 i servizi sociali hanno comunicato al Tribunale che, nell’ambito degli incontri autorizzati, il padre si era comportato in modo inappropriato con i suoi figli, ai quali aveva rivolto osservazioni sprezzanti e offensive nei confronti della madre. […] I servizi sociali chiedevano quindi al Tribunale di nominare un esperto per osservare i genitori e il loro rapporto con i figli e per garantire il loro sano sviluppo (§ 19).
Sentita dalle Autorità nell'ambito del procedimento penale aperto nei confronti del padre per maltrattamenti, l'assistente sociale […] ha confermato come l’uomo fosse sprezzante nei confronti della ricorrente, che questi non rispettava le regole e che tali problemi erano stati segnalati al anche al Comune, in quanto la situazione non permetteva una sana gestione del rapporto con i figli. L’assistente sociale affermava anche che il padre aveva minacciato chiunque fosse entrato in contatto con lui, compresa l’assistente sociale stessa (§ 23).
Cionondimeno, 18 maggio 2016 il Tribunale si è determinato per la sospensione della potestà genitoriale di entrambi i genitori, osservando come la madre si fosse opposta allo svolgimento delle riunioni e che il padre, invece, era stato rinviato a giudizio per maltrattamenti e minacce contro il primo ricorrente. Il Tribunale ha ordinato anche una perizia per valutare le capacità genitoriali di due genitori, senza tener conto delle doglianze della ricorrente relative alle modalità di organizzazione degli incontri e al pericolo a cui erano esposti lei ed i suoi figli (§ 34).
Il 12 ottobre 2016 il centro incaricato dal Tribunale di valutare i genitori ha presentato la propria relazione. Il padre veniva descritto come un individuo con un comportamento aggressivo e incapace di controllare i suoi impulsi e la sua frustrazione. L'esperto nominato dal centro raccomandava incontri in un ambiente protetto, sottolineando che la madre era indebolita dalle violenze subite, ma che aveva capacità genitoriali. […] (§ 39).
Il 10 gennaio 2018 i servizi sociali hanno inviato un’altra relazione al Tribunale, ove si indicava che, nell’ambito di un incontro con i figli, l’uomo era stato rimosso dalla sala riunioni due volte perché mostrava un comportamento aggressivo, anche fisico, nei confronti del personale e degli oggetti ivi contenuti. I servizi sociali, quindi, ritenevano che non fosse possibile continuare gli incontri perché la sicurezza dei bambini e del personale non era assicurata. La psicologa che aveva redatto la perizia chiedeva addirittura che gli incontri fossero spostati in un'altra stanza al piano terra in modo che le persone coinvolte potessero facilmente scappare per proteggere loro ed i bambini dalle violenze dell’uomo (§ 40).
Il 10 aprile 2018 il pubblico ministero ha chiesto al Tribunale di reintegrare la ricorrente nell'esercizio della sua potestà genitoriale (§ 54).
Il 7 novembre 2018 il Tribunale decideva quindi di sospendere gli incontri tra il padre ed i figli, senza però dare seguito alla richiesta del pubblico ministero per il ripristino della potestà genitoriale della ricorrente (§ 57).
Il 5 aprile 2019 la psicologa dei servizi sociali ha inviato al Tribunale un rapporto di aggiornamento sulla situazione della ricorrente e dei suoi figli ove si affermava che la donna aveva dimostrato di essere una madre attenta ai bisogni dei figli in difficoltà e che uno dei due figli era in fase di psicoterapia (§ 59).
Il 15 maggio 2019, il Tribunale ha ripristinato la potestà genitoriale della ricorrente e confermato la decadenza del padre. Decisione, questa, confermata anche dalla Corte d’appello.
Nel caso di specie, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito vi è stata una violazione dell’art. 8 CEDU posto che le Autorità italiane hanno fallito nel loro dovere di proteggere il diritto al rispetto della vita privata e familiare della madre e dei bambini interessati dalla vicenda.
Ripercorrendo i suoi precedenti, il decidente ha ricordato che, per quanto riguarda i minori, particolarmente vulnerabili, i meccanismi creati dallo Stato per proteggerli dagli atti di violenza che rientrano nell'ambito di applicazione degli articoli 3 e 8 della Convenzione devono essere efficaci e comprendere misure ragionevoli per prevenire i maltrattamenti [...]. Tali misure devono mirare a garantire il rispetto della dignità umana e la tutela dell'interesse superiore del minore (§ 111).
La Corte ha rilevato che, nonostante la decisione del Tribunale per i minorenni di autorizzare gli incontri in condizioni di stretta tutela e alla presenza di uno psicologo, tali incontri non si sono svolti secondo le modalità indicate dal Tribunale. Invero, in un primo periodo, da agosto 2015 a gennaio 2016, i bambini hanno dovuto incontrare il padre in luoghi non idonei e senza la presenza di uno psicologo (§112). I servizi sociali hanno indicato nella loro relazione che i luoghi scelti non erano idonei e, nel dicembre 2015, l'assistente sociale che ha seguito i bambini ha chiesto al tribunale di intervenire urgentemente per proteggerli (§113). La Corte ha evidenziato come le Autorità per ben quattro mesi abbiano omesso per quasi quattro mesi di rispondere diligentemente alle richieste dei servizi sociali e del primo ricorrente (§ 114).
In assenza delle condizioni di tutela per i suoi figli, la ricorrente si era opposta agli incontri ed il Tribunale, in ragione di ciò, aveva deciso nel maggio 2016 di considerarla un genitore ostile al ristabilimento del rapporto padre-figlio e di sospendere la sua potestà genitoriale senza esaminarne le argomentazioni e senza tener conto del contesto di violenza domestica menzionato nella sua prima decisione (§ 115).
In definitiva, la Corte ha rilevato che le Autorità non abbiano ascoltato le doglianze dell'assistente sociale che aveva denunciato il pericolo a cui erano esposti i bambini, che non ha tenuto conto delle argomentazioni della madre e che, al contrario, ha ordinato la prosecuzione delle riunioni Inoltre, lo psicologo è stato nominato solo a dicembre 2015 (§ 116).
La Corte osserva che gli incontri sono proseguiti per circa tre anni, e che anche se sono avvenuti alla presenza di uno psicologo in una fase successiva, il comportamento sprezzante del padre, aggressivo nei confronti degli agenti dei servizi sociali, indusse quest'ultimo a chiedere al Tribunale l'autorizzazione a trasferire le adunanze in un luogo dal quale sarebbe stato facile per loro fuggire in caso di comportamento violento (§ 117).
Dalle relazioni dei vari servizi sociali emerge che, inizialmente, gli incontri sono stati organizzati e si sono svolti in luoghi non idonei senza la presenza di uno psicologo, e che, successivamente, dal marzo 2016, sono stati caratterizzati da una forte aggressività dell’uomo e sono stati mantenuti anche nel 2018, quando i figli erano rimasti soli con il padre, senza che nel frattempo fosse intervenuto alcun miglioramento della situazione e nonostante le diverse segnalazioni inviate all'Autorità giudiziaria circa l'accresciuta aggressività del padre (§ 118).
Nonostante tutte queste relazioni, il Tribunale è intervenuto a sospendere le riunioni solo nel novembre 2018, cioè un anno e nove mesi dopo la prima relazione (§ 120).
La Corte ha sottolineato di non comprendere perché il Tribunale, al quale erano state inviate le denunce già nel 2015 e ripetute negli anni successivi, abbia deciso di mantenere gli incontri quando il benessere e l'incolumità dei minori non erano assicurati. Invero, in nessun momento i giudici italiani hanno valutato il rischio a cui erano esposti i bambini e non ha soppesato gli interessi in competizione. In particolare, le ragioni delle loro decisioni non mostrano che le considerazioni relative all'interesse superiore dei bambini dovrebbero prevalere sull'interesse del padre a mantenere i contatti con loro e continuare gli incontri (§ 122).
È evidente quindi, a parere della Corte, che le riunioni tenutesi a partire dal 2015, prima svoltesi in condizioni non conformi alla decisione del giudice, poi in condizioni che non garantivano un ambiente protettivo per i minori, abbiano turbato l'equilibrio psicologico ed emotivo di questi ultimi come indicato dai servizi sociali che avevano più volte sottolineato la necessità di un sostegno psicologico per i bambini (§ 123).
La Corte ha anche accertato che i giudici intervenuti nella causa non hanno motivato con ragioni pertinenti e sufficienti la sospensione per tre anni della potestà genitoriale della madre, tenuto conto l'interesse superiore dei bambini e trovare un giusto equilibrio tra i vari interessi coinvolti (§ 128).
Invero, la Corte di Strasburgo ha evidenziato che dopo aver accompagnato per cinque mesi i suoi figli ad incontri avvenuti senza le garanzie previste dalla decisione delle Autorità, come peraltro aveva sottolineato l'assistente sociale nel richiedere l'intervento urgente del Tribunale a tutela dei minori, la prima ricorrente ha deciso di non portarli più (§ 129). Sulla base di questo diniego, il Tribunale ha riscontrato in quest'ultima un comportamento ostile nei confronti degli incontri e ha deciso di sospendere la sua potestà genitoriale senza effettuare un bilanciamento dei vari interessi in questione, senza sentire l'assistente sociale che aveva seguito l'andamento degli incontri fino a dicembre 2015 e l'aveva informata delle problematiche da lei rilevate, e senza tener conto delle difficoltà che hanno segnato l'andamento degli incontri, come l'assenza di uno psicologo (§ 130).
Pertanto, la Corte EDU ha stabilito che le Autorità nazionali nella presente causa non abbiano fornito ragioni pertinenti e sufficienti per sospendere la potestà genitoriale del primo ricorrente per tre anni.
Infatti, i Tribunali interessati non hanno esaminato attentamente la situazione del primo ricorrente. Al contrario, hanno deciso di sospendere la potestà genitoriale della ricorrente sulla base del suo presunto comportamento ostile nei confronti delle riunioni e dell'esercizio della co-genitorialità da parte del padre, senza considerare tutti i fatti rilevanti del caso.
Sulla base di queste argomentazioni, la Corte EDU ha accordato ai ricorrenti un risarcimento pari a 7000 euro.