Art. 8 C.e.d.u. – Vita privata – Potere praticamente illimitato del servizio di “Intelligence” nazionale nell’ambito delle operazioni di sorveglianza, senza adeguate tutele legali nei confronti dei soggetti colpiti – Mancanza di basi legali sufficientemente determinate per disporre i mandati di sorveglianza e per la conservazione del materiale derivato dalle operazioni di controllo (Corte EDU, Sez. I, 23 giugno 2022, Haščák c. Slovacchia, n. 58359/12 e altri due).

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha riconosciuto una violazione dell’art. 8 C.e.d.u. da parte della Repubblica Slovacca poiché, nell’ambito di un’operazione di “intelligence” governativa inerente il mercato finanziario, avrebbe generato un’illegittima ingerenza nella vita privata del ricorrente.

Il ricorrente è stato coinvolto nell’operazione di controllo delle forze di “intelligence” governative in quanto uomo di affari appartenente ad un influente gruppo finanziario. L’attività di sorveglianza è stata condotta nel 2005 e nel 2006 dal servizio di “intelligence” slovacco ("il SIS"). Nel 2011 l'esistenza di quell'operazione è diventata pubblicamente nota con il nome in codice di "Gorilla". Il contesto generale della causa, sia a livello nazionale che dinanzi alla Corte e.d.u., è descritto nella sentenza della stessa Corte nella causa Zoltán Varga c. Slovacchia (n. 58361/12 e altri 2, 20 luglio 2021). Il ricorrente è stato colpito dall'attuazione da parte del SIS di due mandati di sorveglianza emessi dal Tribunale regionale di Bratislava (“BRC”) il 23 novembre 2005 e il 18 maggio 2006. Il primo era finalizzato al monitoraggio del sig. Varga e degli incontri che si svolgevano in un appartamento che gli apparteneva. Si può capire che, oltre al sig. Varga, quest'ultimo mandato riguardava la sorveglianza di un'altra persona. Il ricorrente ha affermato di avere ragioni per ritenere che quell'altra persona fosse lui. I mandati di sorveglianza concernevano la sorveglianza audio dell'abitazione del ricorrente (§§ 6 e 7).
Il ricorrente si doleva del fatto che, nonostante le Autorità governative avessero assicurato che il materiale reperito grazie all’attività di sorveglianza era stato distrutto al termine delle operazioni, diverse circostanze suggerivano al contrario una fuga di notizie. Ad esempio, nel corso di una perquisizione domiciliare condotta nel 2018 in occasione di un'indagine penale relativa all'omicidio di un giornalista, veniva sequestrato un dispositivo portatile di archiviazione dati che conteneva una traccia audio digitale che sembrava essere una registrazione di una conversazione avvenuta nell’appartamento del ricorrente (§ 13). Egli lamentava quindi la mancanza di un controllo e di un riesame efficaci, che il quadro normativo applicabile non prevedeva alcuna protezione per le persone colpite da misure di sorveglianza e che le regole interne che disciplinavano la conservazione del materiale reperito erano inadeguate; inoltre, che non aveva a disposizione alcun rimedio per impedire tali violazioni della sua vita privata (§ 66).
La Corte e.d.u. ha riconosciuto una violazione dell’art. 8 C.e.d.u.
In particolare, ripercorrendo i suoi precedenti, i giudici sovranazionali hanno ricordato che laddove un potere dell'esecutivo viene esercitato in segreto, sono evidenti i rischi dell'arbitrarietà. Dal momento che l'attuazione pratica di misure di sorveglianza segreta non è soggetta al controllo dei singoli interessati o del pubblico in generale, sarebbe contrario ad uno Stato di diritto che la discrezionalità legale concessa all'esecutivo si esprima in termini di assoluta libertà. Di conseguenza, la legge deve indicare con sufficiente chiarezza la portata di tale potere discrezionale conferito alle autorità competenti e le modalità del suo esercizio, tenuto conto della finalità legittima del provvedimento in questione, per garantire al singolo un'adeguata tutela contro le ingerenze arbitrarie (§ 89).
Fatte queste premesse, la Corte e.d.u. ha ritenuto che la legge chiamata a regolare l’applicazione dei mandati di sorveglianza che hanno colpito il ricorrente non appronti a favore dell’interessato alcun mezzo per esercitare un controllo e non offra alcuna protezione contro possibili interferenze arbitrarie nel diritto al rispetto della sua vita privata (§ 96).
Sulla scorta di queste argomentazioni, la Corte e.d.u. ha condannato la Repubblica Slovacca al pagamento della cifra di euro 9.750 a titolo di danno non patrimoniale.