Con sentenza del 23 maggio 2024 la Corte EDU ha condannato l’Italia per violazione del diritto al rispetto della vita privata (art. 8 C.e.d.u.) in ragione di intercettazioni adottate in un procedimento penale in cui il ricorrente non era imputato.
Il ricorso verte sulla legittimità dell'intercettazione delle conversazioni del ricorrente e, in secondo luogo, sulla perquisizione del suo domicilio e dei suoi locali. Il ricorrente ha lamentato un'interferenza ingiustificata con i suoi diritti ai sensi dell'art. 8 C.e.d.u. e la mancanza di un effettivo controllo giurisdizionale delle misure in questione, che erano state disposte in un procedimento in cui non era direttamente coinvolto.
I giudici sovranazionali dopo aver analizzato la normativa interna sussistente al momento dei fatti e le successive riforme legislative, nonché gli apporti della giurisprudenza, hanno evidenziato che il ricorrente, pur non essendo stato informato di essere stato sottoposto a intercettazioni telefoniche, è venuto indirettamente a conoscenza di tale misura leggendo il mandato di perquisizione. Una volta appreso che le sue comunicazioni erano state intercettate, il ricorrente avrebbe potuto richiedere una copia dei relativi provvedimenti giudiziari, ma un estraneo al procedimento penale, anche se si rende conto di essere stato sottoposto a siffatta misura, non dispone di alcun mezzo di ricorso che gli consenta di attivare un controllo giurisdizionale sulle intercettazioni disposte nei suoi confronti. A tal proposito, la Corte EDU ricorda come privare una persona sottoposta a intercettazione dell'effettiva possibilità di impugnare un tale provvedimento significa privarlo di un'importante garanzia contro possibili abusi (Roman Zakharov) (§ 94).
Di conseguenza, i giudici di Strasburgo hanno ritenuto che l'ordinamento italiano non contiene adeguate ed effettive garanzie per tutelare dal rischio di abusi le persone sottoposte a una misura di intercettazione qualora, non essendo né sospettate di essere coinvolte in un reato, né imputate, rimangono fuori dal procedimento. In particolare, non è prevista la possibilità per tali persone di rivolgersi a un'autorità giudiziaria per ottenere un effettivo riesame da parte dell’autorità giudiziaria circa la legalità e la necessità necessità della misura (§ 95).
Alla luce di queste carenze, la Corte EDU ritiene che la legislazione italiana non soddisfi il requisito relativo alla “qualità del diritto” e non è in grado di limitare l'“ingerenza” a quanto ‘necessario in una società democratica’ ed afferma la presenza di una violazione dell'art. 8 C.e.d.u.
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