Pubblicato in: Giurisprudenza di legittimità

Concorso reati/Riciclaggio/Reimpiego/Associazione mafiosa - Cass., Sez. un., 13 giugno 2014 (c.c. 27 febbraio 2014), Iavarazzo

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Fonte immagine: www.actroma.it


Segnaliamo a tutti i lettori il deposito di un'importante sentenza della Cassazione a Sezioni unite sulla questione "se sia configurabile il concorso tra i delitti di  cui agli artt. art. 648-bis c.p. (riciclaggio) o art. 648-ter c.p. (impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita) e quello di cui all'art. 416-bis c.p. (associazione di tipo mafioso anche straniere), quando la contestazione  di riciclaggio o reimpiego riguardi denaro, beni o altre utilità provenienti proprio dal delitto di associazione mafiosa".


Nelle motivazioni, dopo un'analisi preliminare sull'exursus normativo che ha portato all'attuale formulazione dei delitti di cui agli artt. 648-bis ter c.p., il Supremo Collegio si è occupato della clausola, variamente interpretata negli anni sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza, fuori dei casi di concorso nel reato») contenuta nell'incipit delle due disposizioni. Sul punto, in primo luogo, si è stabilito che:


«la previsione che esclude l'applicabilità dei delitti di riciclaggio e reimpiego di capitali nei confronti di chi abbia commesso o concorso a commettere il delitto presupposto costituisce una deroga al concorso di reati che trova la sua ragion d'essere nella valutazione, tipizzata dal legislatore, di ritenere l'intero disvalore dei fatti ricompresi nella punibilità del solo delitto presupposto».


Proseguendo poi all'analisi del delitto di associazione mafiosa ha stabilito che questo possa essere presupposto dei reati di riciclaggio e reimpiego di capitali in quanto di per sé idoneo a produrre proventi illeciti.


Giunta così al rapporto tra le figure criminose richiamate, ha stabilito che non è configurabile il concorso fra loro, quando la contestazione di riciclaggio o reimpiego riguardi denaro, beni o altre utilità provenienti proprio dal delitto di associazione mafiosa; sia con riguardo al soggetto che non fornisca alcun apporto all'associazione mafiosa, sia nei confronti del partecipe al sodalizio criminoso che non potrebbe esser punito per autoriciclaggio, in quanto oggetto della sua condotta sarebbero il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dall'associazione di cui egli fornisce il suo consapevole e volontario contributo.


In questo contesto, le Sezioni unite hanno anche affrontato la questione del rapporti intercorrenti tra il delitto di reimpiego e quello di associazione di stampo mafioso alla luce dell'aggravante di cui all'art. 416-bis c.p. presente nell'ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti del ricorrente. In proposito, è stato affermato l'ulteriore principio di diritto in base al quale l'aggravante de qua  «è configurabile nei confronti dell'associato che abbia commesso il delitto che ha generato i proventi oggetto, da parte sua, di successivo reimpiego».


Infine, per chiudere il cerchio sulle questioni toccate dalla vicenda, ha stabilito che:


 «i fatti di "auto" riciclaggio e reimpiego sono punibili, sussistendone i relativi presupposti, ai sensi dell'art. 12-quinquies d.l. n. 306 del 1992, conv. con modif. dalla l. 7 agosto 1992, n. 356».