L’interpretazione in via pregiudiziale della Direttiva in materia di presunzione d’innocenza - Direttiva (UE) 2016/343 del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali – ha consentito alla Corte di Giustizia, con il recente pronunciamento, di precisare i limiti di legalità europea del processo in absentia.
È opportuno sottolineare che, secondo gli artt. 8 e 9 della Direttiva, gli Stati possono celebrare procedimenti in assenza dell’accusato, purché egli sia stato informato per tempo della contestazione e delle conseguenze di legge derivanti dalla mancata comparizione.
Invece, nel caso in cui non sia possibile effettuare la notificazione perché l’interessato risulta irreperibile, nonostante sforzi effettivi di rintracciarlo, allo Stato membro è consentito procedere in assenza ma a patto che garantisca l’impugnazione della decisione e il diritto alla riapertura del processo, nel caso in cui l’imputato venga in seguito rintracciato.
Pertanto, la celebrazione del giudizio contumaciale è, in linea di massima, legittima qualora vengano rispettate le regole di comunicazione piena ed effettiva, mentre, in caso di violazioni in fase di notificazione, occorrerà garantire un recupero postumo del contraddittorio col diritto al nuovo processo.
Tale diritto, inoltre, può essere negato nel caso in cui sia documentato, mediante elementi oggettivi, che l’imputato era sostanzialmente a conoscenza dell’imminente procedimento a suo carico e, in virtù di ciò, ha ostacolato il buon fine della notificazione per sottrarsi all’amministrazione della giustizia.
Alla luce di questa disciplina, il giudice del rinvio si interroga sulle condizioni alle quali è legittimo procedere in assenza e, successivamente, escludere il diritto alla riapertura del processo o l’accesso ad un mezzo di impugnazione equivalente che consenta un riesame nel merito della causa.
Muovendo dalla considerazione che il diritto di presenziare al processo rientra nel diritto all’equo processo di cui all’art. 47 CDFUE, la Corte precisa che il giudizio in contumacia può essere legittimamente celebrato, senza che sia necessario riaprire l’istruttoria nel caso in cui il condannato venga rintracciato, solo rispettando le condizioni di cui all’art. 8, § 2 della Direttiva: vale a dire, che l’interessato sia stato informato in anticipo del processo e degli effetti previsti dal diritto nazionale in caso di mancata comparizione, oppure che abbia avuto notizia del giudizio e sia comunque rappresentato da un difensore, di fiducia o di nomina pubblica.
In tali ipotesi, infatti, può essere affermato che il soggetto ha rinunciato con cognizione di causa e in maniera chiara ad esercitare il diritto di essere presente al procedimento.
Ciò, peraltro, corrisponde alla finalità della normativa europea, che intende garantire il rispetto del diritto di difesa e, dall’altra parte, non offrire al condannato la descritta forma tutela, basata sul contraddittorio ex post, nel caso in cui risulti che egli abbia manifestato una volontà precisa di rinunciare a prender parte alla vicenda e, successivamente, rivendichi lo svolgimento di un nuovo processo.
Assume rilievo centrale, pertanto, l’indagine sulle forme di comunicazione relativa allo svolgimento del processo e agli effetti dell’assenza.
Sul punto, viene precisato che spetta al giudice domestico verificare che il documento ufficiale impiegato per la comunicazione soddisfi i requisiti indicati – quanto ai dettagli del processo e alle conseguenze di legge di una declaratoria di procedersi in absentia – e che sia stato notificato con congruo anticipo, consentendo di predisporre una difesa adeguata.
Con riferimento agli imputati latitanti, la Corte afferma che la legge nazionale non può escludere il menzionato diritto a un nuovo processo “per il solo motivo che l’interessato si è dato alla fuga e che le autorità non sono riuscite a rintracciarlo” (§ 47).
Occorrono, invece, indizi specifici e documentati da cui risulta cui l’imputato, a fronte di una sostanziale conoscenza dell’accusa e del processo alle porte, ha posto in essere una condotta diretta ad ostacolare le notificazioni nei suoi confronti: solo in tal caso è legittimo ritenere, alla luce della Direttiva, che questi sia stato informato e abbia rinunciato volontariamente ad esercitare il diritto di presenziare al processo.
A titolo di esempio, la Corte richiama il caso in cui l’imputato indichi deliberatamente un indirizzo errato per la notificazione da effettuare, o sia irreperibile presso il luogo da lui segnalato all’autorità procedente.
Rispetto all’accertamento sulla sufficienza delle informazioni trasmesse, inoltre, il Giudice europeo fornisce indicazioni nell’ottica di un sostanziale dovere di correttezza delle parti: occorre tenere in considerazione la diligenza di ciascuno, tanto dell’autorità pubblica, nel comunicare le informazioni in questione, quanto dell’interessato, nel collaborare al buon esito della notificazione.
Solo in tal modo, conclude la Corte, è possibile allineare il microsistema delle comunicazioni giudiziarie ai principi dell’equo processo di cui alla Carta dei diritti fondamentali dell’UE, anche alla luce dei significati che questo assume, in punto di diritto alla partecipazione informata, grazie al formante della Convenzione europea.
A prima lettura, la decisione pone importanti condizioni di legalità europea del processo in assenza, tanto sul versante dell’interpretazione delle disposizioni vigenti quando de lege ferenda, specie in vista dell’attuazione dei criteri di delega della c.d. riforma Cartabia sull’efficientamento del processo, anche sotto questi aspetti.
Risalta, in particolare, la considerazione che il darsi alla fuga dell’imputato o, comunque, l’impossibilità di rintracciarlo non sono, da sé soli, elementi dirimenti: occorre, piuttosto, un’indagine in concreto, sia pure di tipo indiziario, per sviluppare un ragionamento presuntivo e ritenere, così, che questi abbia pratica conoscenza del processo.
Ancora, merita una sottolineatura l’affermazione dell’esigenza di leale comportamento procedimentale dei soggetti coinvolti, tipica di una prospettiva propriamente accusatoria, che impone a ciascuno una collaborazione concreta per la trasmissione e il ricevimento dell’informazione.
Si tratta di indicazioni da prendere in opportuna considerazione perché collegate al diritto fondamentale all’equo processo, in violazione delle quali non può essere negata la riapertura del giudizio e una sostanziale remissione in termini istruttori.
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