Violazione dell’art. 5 C.e.d.u. - Illegittima custodia cautelare, presidente della sezione turca di Amnesty International, in assenza di plausibili motivi per sospettarlo di appartenere a un’organizzazione terroristica armata - Irragionevolezza della custodia cautelare
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha riconosciuto la violazione dell’art. 5 § 1 C.e.d.u. da parte della Turchia per avere le autorità turche sottoposto il ricorrente alla custodia cautelare in carcere in assenza di elementi che denotassero un ragionevole sospetto che lo stesso avesse commesso un reato e cioè la partecipazione ad un’associazione terroristica.
Infatti, gli unici indizi a carico del ricorrente erano il suo utilizzo di un sistema di messaggistica crittografato, sistema oramai di uso comune di cui non era stato dimostrato l’effettivo scaricamento ed impiego da parte dello stesso, la sottoscrizione dell’interessato ad una rivista ritenuta presuntivamente legata all’associazione terroristica, i legami coniugali di sua sorella con il responsabile di tale rivista, la scolarizzazione dei suoi figli in istituti gestiti legalmente all’epoca dei fatti, ma successivamente chiusi con decreti-legge e il fatto che avesse un’ipoteca con una presunta banca legata a tale associazione. La Corte di Strasburgo, nel rammentare che l’art. 5 § 1 C.e.d.u. impone che la privazione della libertà personale avvenga nei soli casi e modi previsti dalla legge, precisa che l’uso attivo di messaggi crittografati, pur non esclusivamente legato alla partecipazione ad un’organizzazione terroristica, può essere sufficiente a giustificare un plausibile sospetto di appartenenza a tale associazione qualora, però, suffragato da ulteriori elementi di riscontro quali il contenuto o il contesto della messaggistica. Se, per contro, gli elementi chiamati a riscontro dalle autorità interne costituiscono elementi che da soli non consentono di ravvisare un’ipotesi di reato, non può sussistere un ragionevole sospetto in tal senso (§ 105). In particolare, richiamando i propri precedenti in materia, la Corte ha precisato che è pacifico che «il semplice fatto di scaricare o utilizzare un mezzo di comunicazione o ricorso a qualsiasi altra forma di tutela della riservatezza dei messaggi scambiati non può costituire di per sé un elemento atto a convincere un osservatore obiettivo che si tratta di attività illecita o criminale» (§ 106). Pertanto, se non emergono in modo chiaro né gli elementi mediante i quali sarebbe sorto il sospetto del coinvolgimento nella condotta criminosa del ricorrente, né prove circa l’effettivo scaricamento ed utilizzo da parte del ricorrente di tale sistema di messaggistica crittografato, non sussistono i presupposti idonei a ricondurre il soggetto al reato non potendosi, di conseguenza, procedere al suo arresto e alla sua detenzione (§ 109). Incombe, infine, sul governo interno l’onere probatorio circa la plausibilità dei sospetti che hanno condotto ad un provvedimento di carcerazione.
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha, inoltre, ritenuto la violazione dell’art. 5 § 3 C.e.d.u. per insufficiente motivazione dell’ordinanza dispositiva e di proroga del regime detentivo.
È stata poi ritenuta la violazione dell’art. 5 § 5 C.e.d.u. per non essergli stato concesso alcun ricorso effettivo, a livello nazionale, per ottenere il risarcimento del danno per l’illegittima detenzione cui era stato sottoposto.
Lo Stato turco è stato condannato al pagamento della cifra di euro 16.000 nei riguardi del ricorrente a titolo di equa soddisfazione per il danno morale subito.
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