Messa alla prova e responsabilità amministrativa derivante da reato degli enti collettivi: lineamenti di una questione controversa
a)- Trib. Modena, Ufficio del Giudice per le Indagini Preliminari, sentenza 19 ottobre 2020;
b)- Trib. Bologna, Ufficio del Giudice per le Indagini Preliminari, ordinanza 10 dicembre 2020
Le suindicate decisioni risolvono in maniera divergente la questione controversa relativa all’applicabilità -nel procedimento relativo all’accertamento della responsabilità amministrativa derivante da reato degli enti collettivi- dell’istituto della sospensione del processo con messa alla prova, di cui agli artt. 168-bis ss. c.p., e 464-bis ss., c.p.p..
Segnatamente:
a)- il tribunale di Modena, con l’ordinanza del 19 ottobre 2020, ha ritenuto ammissibile l’istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova presentata nell’interesse di un ente collettivo imputato ai sensi del d.lgs. 231/01. Nello specifico, il tribunale ha evidenziato la sussistenza, nel caso di specie, dei presupposti indicati negli artt. 168-bis ss., c.p. e, per l’effetto, non solo ha considerato applicabile l’istituto della messa alla prova nei confronti di una persona giuridica, ma anche ha dichiarato estinto il reato presupposto all’esito dello svolgimento del programma di trattamento elaborato d’intesa con l’UEPE di Modena;
b)- il tribunale di Bologna, con l’ordinanza del 10 dicembre 2020, ha ritenuto inammissibile l’istanza di ammissione dell’ente imputato alla sospensione del procedimento con messa alla prova, sul presupposto che «il mancato coordinamento della legge n. 67 del 2014 con il testo della 231 del 2001 non è frutto dimera dimenticanza del legislatore ma è da considerare voluto, in ossequio al principio del ubi lex dixit voluit, noluit tacuit». Pertanto, «la disciplina della sospensione del processo con messa alla prova non è applicabile alle persone giuridiche chiamate a rispondere ai sensi della 231/2001 in quanto non compatibile nei suoi aspetti sostanziali (oltre che, in misura minore, processuali) posto che non ne condividono l’eadem ratio». D’altronde, «è del tutto evidente come l’istituto previsto dall’art. 168 bis c.p. sia modellato sulla figura dell’imputato persona fisica, in un’ottica, non soltanto specialpreventiva, riparativa e conciliativa, ma soprattutto rieducativa». Per l’effetto, l’eventuale ammissione di un ente collettivo alla messa alla prova ex art. 168-bis c.p. determinerebbe uno svilimento anche del lavoro di pubblica utilità che da elemento essenziale del percorso di risocializzazione dell’imputato diventerebbe un mero costo per l’ente collettivo e, quindi, un mero risarcimento in favore della comunità. In proposito, va segnalato che il tribunale di Milano, con provvedimento del 27 marzo 2017 -che, del pari, può leggersi- ritenne inammissibile l’istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova dell’ente, sollevata ai sensi degli artt. 168-bis c.p. e 464-bis c.p.p.. In particolare, il succitato tribunale prese atto, in primo luogo, dell’assenza di indicazioni normative espresse in ordine alla possibilità, per un ente collettivo, di giovarsi dell’istituto in esame.
Inoltre, il tribunale di Milano rilevò che l’istituto della messa alla prova ha natura, al contempo, processuale e sostanziale, tanto che non sarebbe possibile procedere ad un’applicazione analogica della normativa in discorso a casi non espressamente previsti ab origine dal legislatore. Infatti, ove si consideri che «la sospensione del procedimento con messa alla prova si manifesta, dal punto di vista afflittivo, attraverso lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, che rientra a pieno titolo nella categoria delle sanzioni penali», allora, i principi costituzionali -con particolare riguardo al principio di legalità penale di cui all’art. 25, 2° comma, Cost.- non consentirebbero l’estensione in malam partem dello specifico istituto. Stando così le cose, «in assenza de jure condito, di una normativa di raccordo che renda applicabile la disciplina di cui agli artt. 168-bis c.p. alla categoria degli enti, ne deriva che l’istituto in esame, in ossequio al principio di riserva di legge, non risulta applicabile ai casi non espressamente previsti, e quindi alle società imputate ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001».
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