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La Corte di giustizia dell'Unione europea in sede di rinvio pregiudiziale fornisce delle prime, caute, indicazioni sulle nuove direttive in materia di diritto all'interpretazione e alla traduzione (2010/64/UE) e di diritto all'informazione sull'accusa (2012/13/UE). Secondo i giudici di Lussemburgo, le direttive in parola, da un lato, non obbligano gli Stati membri ad accettare atti di opposizione avverso decreto penale di condanna proposti da parte di imputati stranieri in una lingua diversa da quella del procedimento (di diverso parere si era invece mostrato l'Avvocato Generale Yves Bot nelle sue conclusioni, che qui alleghiamo: si vedano in particolare i paragrafi da 59 a 72), e, dall'altro, non impediscono di prevedere meccanismi di notifica dello stesso decreto ad un domiciliatario. Le questioni decise interessano evidentemente le più generali problematiche dell'ammissibilità di atti processuali provenienti dall'imputato alloglotto e della sua effettiva conoscenza di provvedimenti che contengano informazioni sulla propria accusa. Al riguardo la Corte lascia aperti degli importanti sbocchi applicativi che potrebbero condurre sul piano interno a nuovi, auspicabili, sviluppi in termini di maggiori garanzie: la sentenza in commento, infatti, impone che la traduzione debba comunque effettuarsi qualora le competenti autorità degli Stati membri ritengano l'opposizione quale documento fondamentale (ex art. 3, par. 3 della direttiva 2010/64/UE), e che la persona interessata possa beneficiare in toto del termine stabilito per impugnare (vale a dire al netto del tempo necessario al domiciliatario per trasmettere il decreto penale di condanna all'imputato).
F.R.