Di particolare interesse processuale, al di là del tenore mediatico della vicenda sottostante, la condanna della Corte europea nei confronti dell’Italia nel caso del delitto perugino di Meredith Kercher, per avere violato le garanzie minime della ricorrente Amanda Knox in tema di diritto all’autodifesa e alla difesa tecnica durante le indagini, ha offerto l’occasione di riconoscere una violazione dell’art. 3 della C.e.d.u. nel solo aspetto procedurale – in tema di indagini effettive e complete circa il denunciato trattamento inumano – pur di fronte a un rigetto dell’eccepita violazione del profilo materiale dello stesso articolo, il quale proibisce la tortura e le altre forme di trattamento inumano e degradante.
La pronuncia, dunque, si inserisce nel filone europeo, ormai sempre più nutrito, che impone indagini effettive e complete di fronte a ogni denuncia di maltrattamenti, fisici e giuridici, subiti nella fase investigativa: alla luce dei verbali e di dichiarazioni convergenti nel senso di aver sopportato un trattamento degradante, qualora la denuncia appaia munita di un certo credito, il successivo giudice deve ordinare un’indagine ufficiale ed efficace, con cui chiarire i fatti e le eventuali responsabilità: con tutte le conseguenze che ne derivano, sia consentito qui solo un accenno, quanto ai doveri processuali che discendono sul capo del giudice interno in ragione della Convenzione europea.
Nell’adire la Corte, in particolare, la ricorrente ha dedotto anche la violazione dell’art. 6, §§ 1 e 3 lett. c), relativo al diritto a farsi assistere da un difensore di fiducia o, in difetto di mezzi economici sufficienti, da un difensore d’ufficio che sappia comunque garantire l’effettività della difesa: in accoglimento della censura, il Giudice europeo ha riconosciuto che, nella primissima fase dell’indagine, Amanda Knox è stata più volte ascoltata in difetto di un Avvocato e dietro l’etichetta formale della “persona informata sui fatti”, in tal modo violando il principio convenzionale da ultimo citato; in altri termini, rilevando il volontario differimento, da parte dello Stato italiano, della formalizzazione dell’accusa e della comunicazione delle informazioni rilevanti circa i diritti di difesa, l’intera fase processuale è divenuta non equa, con conseguente violazione di rilievo anche europeo (cfr. §§ 156-158).
Nel medesimo contesto procedimentale, la Corte ha riconosciuto altresì l’infrazione dell’art. 6, §§ 1 e 3 lett. e), relativo al diritto a fruire di un interprete per tradurre qualsiasi atto del procedimento instaurando: nel ribadire che lo scopo dell'assistenza interpretativa è consentire a ciascuno di sapere di cosa è accusato e di difendersi, in particolare, comunicando la propria versione dei fatti all’interrogante, viene ulteriormente precisato il contenuto materiale dell'obbligo dell’autorità giudiziaria in merito, il quale non si esaurisce con la semplice nomina di un interprete: incombe altresì su di essa il dovere di esercitare un controllo successivo sul valore dell'interpretazione fornita (cfr. § 182-184), verificando nel complesso che il mandato interpretativo sia adempiuto in maniera neutrale e, questo il punto, senza ingerire sull’equità del processo. La rilevanza dell’affermazione consente un’anomala ripetizione: di fronte a una denuncia di questo principio dinanzi al successivo giudice del processo, diventa cogente l’esigenza di attivare una procedura capace di far luce sulle accuse, al fine di valutare se l’interprete, laddove suggestivo e parziale, abbia avuto un impatto apprezzabile sull’esito della procedura (§ 186).
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