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Il ricorrente lamentava di essere stato picchiato dalla polizia giudiziaria durante le fasi dell’arresto. Agli atti si trovava il certificato medico che attestava la rottura di tre costole ed un ematoma al testicolo.
L’indagine aperta per accertare le responsabilità in ordine alle lesioni denunciate si era chiusa con una richiesta di archiviazione. Il GIP aveva accolto la richiesta - anche in seguito all’opposizione dell’Alberti - rilevando come le dichiarazioni dell’offeso non fossero supportate da adeguati elementi di sostegno e come la natura delle lesioni fosse compatibile con l’ordinario uso della forza, necessario per contrastare l’aggressività manifestata dall’indagato durante le fasi dell’arresto.
La Corte rileva la violazione dell’art. 3 della Convenzione sia sotto il profilo “sostanziale” che sotto quello “procedurale”.
Sotto il profilo sostanziale viene ribadito il carattere assoluto del divieto di tortura, si afferma infatti che “l’article 3 ne prévoit pas de restrictions, en quoi il contraste avec la majorité des clauses normatives de la Convention et des Protocoles nos 1 et 4, et d’après l’article 15 § 2 il ne souffre nulle dérogation, même en cas de danger public menaçant la vie de la nation»; anche se si ritiene compatibile con il divieto un uso della forza proporzionato all’esigenza di effettuare l’arresto
Si rileva, effettuando una anlisi del fatto come la natura delle lesioni non sia – contrariamente a quanto ritenuto dalle autorità giudiziarie nazionali – compatibile con l’uso della forza necessario per l’immobilizzazione. Si rileva infatti come le manovre di immobilizzazione « non avrebbero potuto provocare la frattura di tre costole e l’emetoma al testicolo», che evidentemente avevano una origine diversa dall’azione «vigorosa» necessaria per procedere all’ammanettamen to. Nè tali lesioni apparivano riconducibili alle manovre autolesionistiche attribuite al ricorrente .
Si rileva come la persona in vincoli sia «affidata» all’autorità pubblica («Un État est responsable de toute personne placée en garde à vue car cette dernière est entièrement aux mains des fonctionnaires de police» e come sia questa autorità a dovere fornire una giustificazione plausibile delle lesioni occorse durante lo stato di detenzione («c’est à lui qu’il appartient de fournir une explication plausible sur l’origine des blessures, à défaut de quoi l’article 3 trouve à s’appliquer»).
In sintesi: la Corte ha rilevato come emerga incotestabilmente che le severe lesioni siano state patite dal ricorrente mentre era in vincoli e non ritiene «plausibile» la spiegazione offerta dalle autorità statali: il che è sufficiente per ritenere violato l’art. 3 nella sua dimensione materiale.
Sotto il profilo «procedurale» la Corte censura la insufficienza della azione statale nella gestione della indagine conseguente alla denuncia dell’Alberti.
Si rimarca con decisione l’obbligo di condurre inchieste tempestive ed approfondite ogni volta che sia in gioco la violazione dell’art. 3 della Convenzione («L’enquête qu’exigent des allégations graves de mauvais traitements doit être à la fois rapide et approfondie, ce qui signifie que les autorités doivent toujours s’efforcer sérieusement de découvrir ce qui s’est passé et qu’elles ne doivent pas s’appuyer sur des conclusions hâtives ou mal fondées pour clore l’enquête ou fonder leurs décisions»).
Censura inoltre la superficiliatà con cui era stata condotta l’indagine (in particolare : il fatto che non fosse stata adeguatamente ascoltata la vittima ed il fatto, che non fossero state approfondite le conseguenze della sedazione sulle prime dichiarazioni dell’ Alberti). Condannato inoltre il metodo che ha condotto l’autorità giudiziaria a valutare come non credibili le dichiarazioni del ricorrente caratterizzato da un eccessiva e pregiudiziale valorizzazione della consistenza dei precedenti dell’offeso ed al giudizio sulla sua personalità.
S.R.