Nel procedimento disciplinare riguardante i magistrati sono pienamente utilizzabili le intercettazioni telefoniche o ambientali effettuate in un procedimento penale, purché siano state legittimamente disposte nel rispetto delle norme costituzionali e procedimentali, non ostandovi i limiti di cui all'art. 270 c.p.p., riferibile al solo procedimento penale deputato all'accertamento delle responsabilità penali. Con riferimento in particolare alle norme applicabili “ratione temporis”, l’art. 6 del d.lgs. n. 216 del 2017 – che ha parzialmente esteso ai procedimenti per i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni la disciplina delle intercettazioni prevista per i delitti di criminalità organizzata dall’art. 13 del d.l n. 152 del 1991, convertito con modif. in l. n. 203 del 1991 ed integrato con d.l. n. 306 del 1992, conv. con modif. in l. n. 356 del 1992 – è entrato in vigore il 26/1/2018, non essendo tale disposizione indicata tra quelle per le quali l’art. 9 del medesimo decreto legislativo ha disposto il differimento della loro entrata in vigore; la successiva modifica di tale norma, introdotta dall’art. 1, comma 3, della l. n. 3 del 2019 – la quale, abrogando il comma 2 dell’art. 6 del d.lgs. n. 216 cit. ha eliminato la restrizione dell’uso del captatore informatico nei luoghi indicati dall’art. 614 c.p., così consentendo l’intercettazione in tali luoghi anche se non vi è motivo di ritenere che vi si stia svolgendo attività criminosa – è a sua volta entrata in vigore, a differenza di altre disposizioni della medesima legge per le quali il legislatore ha differito l’entrata in vigore all’1/1/2020, il decimoquinto giorno dalla pubblicazione della legge sulla G.U., avvenuta il 16 gennaio 2019. Pertanto, possono essere utilizzate nel procedimento disciplinare le intercettazioni effettuate con captatore informatico nella vigenza di tali norme ed in conformità della disciplina dalle stesse introdotta.
Sulla “Composizione della Sezione disciplinare” la Suprema Corte ha ritenuto di non accogliere le doglianze del ricorrente, che riteneva illegittima la composizione del Collegio giudicante con violazione del principio del giudice naturale, poiché il membro supplente non apparteneva alla categoria di quello sostituito (così come enunciato dall’art. 23). Infatti, ha stabilito che è legittima la composizione del collegio per la valutazione dell’istanza di ricusazione del magistrato requirente sostituito da un supplente non avente pari funzioni sia quando manchino in seno al Consiglio ulteriori componenti elettivi requirenti, sia anche nel caso in cui non vi fossero magistrati requirenti neanche tra i non eletti.
La Corte ha, ancora, richiamando le pronunce del giudice delle leggi ha ribadito che la Costituzione, regolando solo i tratti essenziali del disegno del CSM, ha lasciato al legislatore ordinario ampi spazi nella disciplina delle funzioni e dell’organizzazione dell’organo di autogoverno. Infine, ha sottolineato che nel caso in esame non si pone un problema di imparzialità-terzietà del giudice, ma viene prospettato un problema di mancato rispetto del giudice precostituito per legge a causa di una sostituzione di uno dei componenti togati della sezione disciplinare con altro magistrato togato, ma di diversa categoria, stante l’esaurimento dei componenti requirenti del CSM, e pertanto, mantenendo l’equilibrio del collegio tra componenti laici e togati, legittimamente e doverosamente, dice la Corte di cassazione, il CSM ha scelto di non bloccare per mesi l’esercizio della funzione disciplinare, cui è tenuto per norma costituzionale, ed ha proceduto alla sostituzione del componente requirente ricusato con un componente giudicante.
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