Condannato alla pena massima prevista dall’ordinamento turco - ergastolo aggravato senza possibilità di libertà condizionale - per associazione alla organizzazione indipendentista del PKK e tentato attacco dinamitardo durante una pubblica parata, il ricorrente denuncia la lesione del suo diritto a un giusto processo con riferimento alla modalità di presentazione delle prove a suo carico e al deficit di garanzie difensive nelle diverse fasi dell’iter procedimentale. Ribadito che i requisiti generali di equità processuale sanciti dall’art. 6 Cedu devono essere garantiti in tutti i processi, indipendentemente dalla gravità dei reati oggetto di accertamento, dunque anche quelli riguardanti delitti di terrorismo, nel caso in esame i giudici di Strasburgo accertano numerose e palesi violazioni della legalità processuale, tanto più censurabili in considerazione della afflittività massima della pena irrogata. Rilevano specificamente: impossibilità per il difensore, nominato d’ufficio, di incontrare l’assistito, prelevato dalla polizia per presenziare alla perquisizione del proprio domicilio; interrogatorio dell’indagato da parte di ufficiali di polizia in assenza del difensore; perquisizione disposta d’urgenza dalla polizia mai convalidata dal giudice, cui seguiva il sequestro di un telefono cellulare, fondamentale prova a carico nel successivo giudizio; rinvenimento di appunti decisivi per l’attribuzione di responsabilità, a seguito di perquisizione personale del ricorrente in custodia cautelare, la cui videoregistrazione non era mai stata prodotta perché smarrita; mancato accoglimento della richiesta sia del difensore che dell’Istituto di medicina legale, di ulteriori campioni grafici per approfondimenti sulla autenticità della grafia del ricorrente, che aveva sempre negato la paternità dei medesimi; conseguente impossibilità per il ricorrente di contestare in modo efficace e commisurato ai principi posti dall’art. 6 Cedu la veridicità e l’affidabilità delle prove poste a fondamento del giudizio di colpevolezza; assenza di ragioni sufficienti a giustificare il rigetto delle questioni sollevate dalla difesa nel corso dell’intero procedimento. La Corte adita ritiene, pertanto, che i giudici nazionali siano venuti meno al loro dovere di esaminare correttamente le dichiarazioni delle parti e di emettere sentenze motivate, minando in tal modo la fiducia che la magistratura in una società democratica deve ispirare nel pubblico e violando la garanzia del giusto processo sancita dalla Convenzione.
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