Misure cautelari - Trib. Trento, G.i.p., 29 febbraio 2016, Wahab ed altri

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Fonte immagine:www.tribunale.trento.it


TEMPUS FUGIT


I mille volti della riforma in materia di misure cautelari.


L’incertezza sui tempi di delibazione delle richieste di estradizione costituisce uno dei motivi di revoca delle ordinanze di custodia cautelare in carcere. È quanto stabilito dal Gip del Tribunale di Trento il 3 marzo 2016, in accoglimento della richiesta in tal senso avanzata dal pubblico ministero nei confronti di Awat Wahab; Zana Abdul Rahman Rahim, Hamad Bakr, Jalal Fatah Kamil, Faraj Ahmad Njmuddin (alias mullah Krekar). Nell’ordinanza, in particolare, si legge che la dilatazione dei tempi processuali non può andare a discapito dei diritti costituzionali degli indagati, tanto più se si assume che la cautela carceraria va giustificata tenendo conto anche del tempo trascorso dalla commissione del reato, conformemente al disposto dell’art. 292, co. 2, lett.c), c.p.p.


Si avalla, in altri termini, il percorso logico argomentativo offerto dalla pubblica accusa per la quale la recente novella – come noto intervenuta con la L. 16 aprile 2015, n. 47 – ha reso particolarmente incidente, nelle decisioni de quibus, il lasso di tempo trascorso dal momento della applicazione della misura cautelare, con la richiesta al giudice di una motivazione rafforzata nei casi di condotte illecite risalenti.


Una lettura della norma che, nonostante richiami il recente intervento legislativo, pare ben lontana dalla sua ratio ispiratrice. Del resto, a rappresentare il quid novi della riforma non è stato il riferimento al tempus commissi delicti (già presente nella versione precedente dell’art. 292 – stesso posto, stessa formulazione, stessa storia), quanto piuttosto l’espresso richiamo ad un parametro valutativo “autonomo” del giudice nel disporre la misura sulla base delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi che in concreto la giustificano.


In effetti, dalle indagini dei Ros uno degli arrestati - il Mullah Krekar – risultava al vertice dell’organizzazione di jihadisti «Rawti Shax» (“Verso la montagna”). Non esattamente il leader dei circoli ricreativi di Bolzano e Merano, insomma.


Ma i fatti di Bruxelles non erano ancora avvenuti e Parigi oramai è già un ricordo lontano.


Senza ancora aver spento la sua prima candelina, la riforma del 2015 – così come (ingenuamente?) interpretata – lascia, quindi, un po’ di amaro in bocca.


Magari sarebbe opportuno ripensare la scala dei valori e delle priorità costituzionali del nostro sistema a fronte di una minaccia terroristica che, avvertita in tutta Europa (ed anche oltre Oceano), a casa nostra sembra piuttosto la risorsa più preziosa per talk show e conferenze improvvisate.


Questo ovviamente scongiurando il rischio di dover poi chiedere scusa a Daesh. Non sia mai.