Fonte immagine: www.blog.reuters.com
La sentenza, in cui si affrontano plurime questioni di interesse (diritto ad un processo equo entro un termine ragionevole; diritto di essere prontamente informato delle accuse; diritto al contraddittorio; diritto di essere assistito da un avvocato; protezione della proprietà), merita una particolare menzione soprattutto perchè ivi la Corte ribadisce il fondamento “sostanziale” del principio del ne bis in idem (art. 4, Prot. n. 7; la riserva apposta a tale disposizione dallo Stato italiano ai sensi dell'art. 57 della Convenzione è stata ritenuta invalida dai giudici di Strasburgo): al riguardo, infatti, ciò che rileva non è il formale inquadramento giuridico dell'illecito (amministrativo o penale), ma l'illecito stesso nelle sue caratteristiche essenziali («une seule et même conduite de la part des mêmes personnes à la même date»); su queste premesse, nel caso di specie la Corte ha giudicato all'unanimità che il principio in questione non sia stato rispettato.
La sentenza, inoltre, contiene ulteriori e fondamentali affermazioni in punto di violazione del contraddittorio ed effettività del controllo giurisdizionale in grado d’appello. La Corte, infatti, nell’estendere anche alle ipotesi di impugnazione di una pronuncia di condanna i principi di diritto affermati a partire dalla ormai nota sentenza Dan c. Moldavia, ha ritenuto «scioccante (…) la totale assenza di esame in contraddittorio degli elementi di prova confutati e relativi a fatti cruciali, nel contesto di un’udienza in tribunale». Più in particolare, sottolineando «la necessità che i giudici di secondo grado dimostrino la solidità delle testimonianze a carico ed a discarico nel contesto di un pubblico dibattimento dinanzi ad un giudice», ha ritenuto non accettabile l'atteggiamento della Corte d'appello che si è limitata ad avallare «le testimonianze raccolte dall’accusa senza lasciare ai ricorrenti la possibilità di effettuare un controinterrogatorio dei testimoni sui fatti di causa», osservando come «l’importanza di sottoporre i testimoni ad un controinterrogatorio dinanzi ad un tribunale non può essere e non avrebbe dovuto essere sottovalutato in un procedimento sanzionatorio, al termine del quale era possibile l’irrogazione di pene pecuniarie per l’ammontare di diversi milioni di euro e di pene non pecuniarie, le quali avrebbero potuto pregiudicare fortemente o annientare definitivamente la carriera dei condannati».