Prescrizione/Illegittimità Costituzionale - Tribunale Siena, 21 maggio 2020

Giustizia

Nota di presentazione all’incidente di costituzionalità promosso dal Tribunale di Siena con le ordinanze gemelle del 21 maggio 2020

Il Tribunale monocratico di Siena ha sollevato, con due parallele ordinanze, una questione di legittimità costituzionale dell’art. 83, co. 4, D.l. 17 marzo 2020, n. 18, come modificato in sede di conversione dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, per contrasto col principio di irretroattività della legge penale sfavorevole previsto dall’art. 25, co. 2, Cost. poiché la disposizione incriminata prevede la sospensione del corso della prescrizione per i procedimenti che hanno ad oggetto reati commessi prima del 9 marzo 2020 e che, tuttavia, sono stati colpiti dal congelamento dei termini processuali previsto dal co. 2 del medesimo art. 83.
Per gestire l’emergenza epidemiologica, il legislatore ha agito su un duplice fronte: il primo, relativo alla necessità di ridurre al minimo le occasioni di rischio per la salute con la sospensione di tutte le attività processuali e del decorso dei relativi termini, disponendo il rinvio obbligatorio per le udienze già fissate tra il 9 marzo e l’11 maggio 2020; il secondo, relativo all’esigenza di neutralizzare gli effetti negativi che derivano dalla paralisi conseguente, collegando alla sospensione di cui al co. 2 quella del corso della prescrizione per il tempo del rinvio, sancita dal co. 4 dell’art. 83 ora all’attenzione della Consulta.
Ed è proprio lo stretto legame tra il differimento obbligatorio dell’udienza e la paralisi dello scorrere del tempo per l’estinzione del reato a far dubitare della compatibilità con la Costituzione del costrutto normativo: la nuova regola, infatti, prolungando la durata del tempo utile all’estinzione in misura corrispondente al rinvio, modifica in senso sfavorevole all’imputato la disciplina della prescrizione per un reato commesso in epoca antecedente rispetto alla sua entrata in vigore.
Si tratta di una disposizione che all’evidenza solleva il tema della duplice natura della prescrizione, sostanziale quanto agli elementi negativi che debbono mancare perché un fatto possa essere considerato “di reato” – e, in questa dimensione, certamente dipendente dalla legalità sostanziale prevista dall’art. 25, co. 2, Cost. – oppure di diritto processuale come causa o condizione di procedibilità dell’azione, retta dal principio del tempus regit actum, con immediata applicazione ai processi in corso.
Eppure, come correttamente segnala il tribunale senese, non sembra possa dubitarsi della soluzione sostanzialista se si considerano le acquisizioni della giurisprudenza alla luce della c.d. vicenda Taricco, nella quale la Corte costituzionale ha riaffermato a chiare lettere che la prescrizione, in quanto istituto che incide sulla punibilità della persona, rientra pienamente nell’alveo del principio di legalità previsto dall’art. 25 della Carta fondamentale, con ovvie conseguenze a trarsi sull’irretroattività della nuova disposizione sfavorevole, rispetto ai fatti di reato di precedente consumazione (da ultimo Corte cost., sent. n. 115 del 2018).
Nell’impossibilità di letture alternative del co. 4 in discussione, sembra coerente la scelta compiuta con le ordinanze di rimessione, poiché è chiaro che agganciare il nuovo caso di sospensione della prescrizione al differimento dell’attività processuale rappresenta un tentativo di valorizzare la componente processuale dell’istituto in contrasto con le acquisizioni del Giudice delle leggi.
Altro profilo di dubbio, estraneo alle indicate ordinanze ma non meno pregevole, è dato dallo stretto legame che è stato creato dal legislatore tra il funzionamento della prescrizione e l’attività organizzativa dell’ufficio, con il quale viene invertito il normale rapporto di subordinazione della seconda al primo.
Nella fisiologia ante emergenza, il presidente titolare non è dotato di poteri gestori del corso della prescrizione di tipo attivo, ma solo di tipo passivo, dal momento che la mancata tempestiva celebrazione del processo, in relazione a quella fase, contribuirà alla maturazione della causa estintiva del reato, mentre un’efficiente gestione del carico di lavoro consentirà di smaltire i giudizi pendenti senza contribuire al raggiungimento della scadenza.
In quest’ottica, dunque, le scelte dell’ufficio si trovano in una posizione di subordine rispetto alla disciplina della prescrizione, nel senso che le scelte di management dei processi non potranno impedire lo spirare del termine se non con la fissazione dell’udienza: in altri termini, i meccanismi di funzionamento della prescrizione non dipendono dalle regole di organizzazione previste da ciascuna sede giudiziaria, potendo il presidente dell’ufficio al più impedire che venga raggiunto, per quel grado di giudizio, il termine massimo di durata, celebrando tempestivamente i processi aventi ad oggetto reati di prossima estinzione.
Per contro, il combinato disposto dei co. 2 e 4 dell’art. 83 in parola inverte i rapporti di forza, attribuendo all’organizzazione locale una inedita capacità “gestoria” della prescrizione, che resta sospesa per un tempo variabile, a seconda della nuova data di celebrazione del giudizio prescelta dal titolare dell’ufficio.
Ecco che il ruolo organizzativo guadagna una funzione di controllo positivo – e non più passivo e subordinato – rispetto agli ingranaggi della prescrizione. Con la distribuzione delle udienze soggette al differimento obbligatorio, infatti, chi ha il potere di distribuire il calendario giudiziario può interagire direttamente sul computo del termine massimo di durata del giudizio, essendo stata introdotta una nuova causa sospensiva del corso della prescrizione che non dipende dal compimento di un’attività endoprocessuale – quali sono quelle descritte all’art. 159 c.p. – ma da una scelta estranea alla celebrazione del processo in senso stretto – quale è la nuova data di convocazione delle parti – e legata, ecco il punto, alle esigenze di distribuzione del carico dell’ufficio.
Da ciò nascono ulteriori problemi: la disciplina contenuta nel D.l. n. 18/2020 fa dubitare della compatibilità col divieto di applicazione retroattiva della riforma peggiorativa degli elementi del reato e, sul piano istituzionale, attrae la competenza amministrativa del capo dell’ufficio giudiziario sul terreno delle norme da cui dipende l’esistenza o l’estinzione del reato, creando una pericolosa revisione del principio di subordinazione alla legge del giudice, secondo l’art. 101, co. 2, Cost.
Dovrebbe dunque ragionarsi anche lungo questa seconda direttrice: con la disciplina dell’emergenza si attribuisce al giudice un potere di differimento che influisce sul corso della prescrizione, consentendo che le sue decisioni organizzative siano norme rilevanti per il computo del tempo utile all’estinzione del reato e mettendo in crisi tanto la stretta legalità che deve governare i presupposti della prescrizione – tra i quali ora va incluso il decreto presidenziale – quanto la stessa subordinazione alla legge del provvedimento giurisdizionale, con questa riforma collocato su di un piano pericolosamente “normativo”. (G.G.)