Con la sentenza del 16 aprile 2019, caso Bondar c. Ucraina, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha aggiunto un ulteriore tassello alla tematica del diritto al confronto, così restituendo all’operatore giuridico una visuale sempre più nitida in materia.
Nel dettaglio, il ricorrente lamentava di non essere stato posto nelle condizioni di esercitare il diritto a contraddire il testimone, proprio nel momento in cui quest’ultimo aveva ritrattato le sue precedenti dichiarazioni accusatorie, successivamente riconfermate e poste a fondamento dell’impianto probatorio della sentenza di condanna. La Corte europea, riprendendo e sviluppando quanto già affermato in suoi precedenti giurisprudenziali (Schatschaschwili c. Germania [GC], n. 9154/10, § 100, CEDU 2015), ha accertato la violazione dell’art. 6 §§ 1 e 3 lett. d) C.E.D.U., constatando un deficit di tutela sul piano del contraddittorio c.d. debole, ossia sull’elemento di prova, essendo convenzionalmente imposto un confronto, anche non contestuale, tra l’accusato e il dichiarante.
Percorrendo e proseguendo la strada già tracciata nel leading case Orhan Çaçan c. Turchia (26437/04, §§ 39-43, 23 marzo 2010), dove era stata accertata una violazione in ordine al medesimo profilo, i giudici europei hanno sostenuto che il mancato richiamo di un testimone - precedentemente sottoposto ad esame incrociato da parte del ricorrente – in caso di ritrattazione delle proprie dichiarazioni incriminanti può sollevare un problema in ordine alle garanzie del diritto al confronto, soprattutto qualora la testimonianza abbia avuto un peso decisivo nell’accertamento della responsabilità penale.
Inoltre, la Corte EDU, quasi a voler rimarcare la fondatezza della lesione del diritto convenzionalmente tutelato, ha posto in evidenza che, mentre nella vicenda riguardante le autorità turche, queste ultime avevano avuto difficoltà ad individuare dove si trovasse il testimone-chiave che aveva ritrattato la propria testimonianza, nel caso in esame le autorità ucraine non avevano riscontrato simili difficoltà, poiché il testimone si trovava in regime di custodia cautelare e, quindi, lo stesso era facilmente disponibile ad essere chiamato ed esaminato in merito alla ritrattazione della propria testimonianza.
La Corte europea ha messo in luce, pertanto, che la procedura seguita dai tribunali nazionali a seguito della ritrattazione iniziale del dichiarante aveva determinato una disparità nell’uso dei poteri processuali a vantaggio del pubblico ministero, divenuto nel corso del processo esclusivo titolare del diritto di esaminare, ancora una volta, il dichiarante al fine di produrre una ulteriore ritrattazione – poi avvenuta – a differenza dell’imputato, privato del diritto di difesa e, pertanto, della possibilità di chiarire ulteriormente le dichiarazioni rese alla base della ritrattazione, in modo da convertire la prova a carico in una prova a discarico e, dunque, favorevole.
Così ragionando, è stato, dunque, violato il principio dell’uguaglianza delle armi, conclusione che, stando allo spirito dei giudici europei, è da ritenere valida indipendentemente dal fatto che il testimone appartenesse all’accusa o alla difesa, poiché, subito dopo la iniziale ritrattazione, l’imputato avrebbe potuto “giocarsi le proprie carte processuali”, al fine di far cedere l’impianto accusatorio e trasformare la testimonianza da prova orale decisiva per la condanna in prova orale fondante una sentenza di assoluzione.
E. Addante
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