Pubblicato il 7 marzo 2023
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto violato l’art. 3 C.e.d.u., nella sua componente sostanziale, da parte della Russia poiché il quadro normativo interno non ha consentito di adottare le necessarie misure di tutela della persona offesa, la quale, pur essendo in condizione di particolare vulnerabilità, poiché minore e vittima di reati di violenza sessuale ad opera di più persone, è stata sottoposta a prassi di vittimizzazione secondaria.
La ricorrente, vittima minorenne di abusi sessuali ad opera di più soggetti, si è rivolta alla Corte di Strasburgo poiché costretta a subire diversi episodi di vittimizzazione secondaria da parte della autorità interne durante il procedimento penale.
La Corte EDU, dopo aver chiarito di dover interpretare il caso sottoposto alla sua attenzione in base ai principi C.E.D.U. e della Convenzione di Lanzarote (§ 55), ha ritenuto fondate le doglianze della ricorrente.
In particolare, i colloqui della vittima, dodicenne all’epoca dell’inizio delle indagini, si sono svolti senza che gli organi di polizia provvedessero alle relative videoregistrazioni, eccezion fatta per il primo colloquio di cui però la videoregistrazione è andata perduta (§ 56).
Il codice di procedura penale russo è stato ritenuto dal giudice sovranazionale manchevole con riguardo al rispetto dei principi tutelati dall’art. 3 C.E.D.U. sotto vari profili. In primo luogo, in quanto non contiene alcuna disposizione volta a garantire che le persone minori di età vengano sentite soltanto per quanto si riveli strettamente necessario ai fini del procedimento penale, nel tentativo di ridurre quanto possibile il numero dei colloqui a cui vengono sottoposte (§ 56).
In secondo luogo, a differenza di quanto previsto dalla Convenzione di Lanzarote, manca nell’ordinamento interno una disposizione che impone la garanzia per la persona offesa minore d’età di essere sentita, per quanto possibile, dalla stessa persona (§ 59). Né è stata dimostrata l’impossibilità a provvedere in tal senso da parte dello Stato russo. Infatti, durante le attività investigative, dato che i soggetti indagati erano stati sottoposti a quattro distinti procedimenti penali, la vittima si è vista costretta a dover essere riferire sulla condotta delittuosa consumata ai suoi danni per tre volte circostanze (§ 58), venendo interrogata da quattro diversi operatori della polizia, tutti di sesso maschile.
Inoltre, i colloqui della vittima minore non hanno avuto luogo in strutture specializzate a tal fine, con ciò contravvenendo all’art. 35 della Convenzione di Lanzarote (§ 60), la persona offesa è stata costretta a recarsi nuovamente sul luogo del delitto per confermare le proprie dichiarazioni, tra l’altro, alla presenza di uno dei fratelli dei presunti autori, senza che si fosse adottata nessuna misura idonea ad evitare delle ripercussioni sulle sue condizioni psichiche (§ 61).
Durante l’identificazione dei presunti autori del fatto, è stato disatteso anche quanto disposto dall’art. 31 della Convenzione di Lanzarote, volto ad evitare – a meno che ciò non corrisponda al superiore interesse del minore – contatti diretti tra la persona offesa e l’autore del reato. Ciò in quanto, nonostante fosse stato disposto l’utilizzo dei vetri unidirezionali per procedere alla ricognizione personale, uno degli indagati era stato condotto per errore nella stanza dove si trovava la persona offesa (§§ 37-62).
L’operato delle autorità interne è risultato contrario ai principi C.E.D.U. anche per quanto concerne il coinvolgimento di professionisti specializzati atteso che, nonostante gli psicologi avessero evidenziato in più occasioni i problemi psicologici della vittima conseguenti al grave reato subìto e la necessità di evitare di farle rivivere la situazione traumatica vissuta, tali rilievi sono stati totalmente disattesi dagli organi inquirenti i quali hanno sentito la vittima in diverse occasioni e senza le modalità protette (§ 66).
Sulla base di tali premesse, la Corte europea ha ritenuto non rispettati gli obblighi di natura sostanziale derivanti dall’art. 3 C.E.D.U. da parte della Russia (§ 72), riconoscendo alla ricorrente la corresponsione della cifra di euro 20.000 a titolo di danni morali.
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