Pubblicato il 16 novembre 2023
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto violato da parte della Croazia l’art. 3 della Convenzione europea poiché, trattenendo per diversi giorni un detenuto in una cella protetta, privo di indumenti e legato a polsi e caviglie, lo ha sottoposto ad un trattamento inumano e degradante.
Il caso riguarda la reclusione prolungata del ricorrente in una cella protetta e i suoi presunti maltrattamenti da parte delle guardie carcerarie nel carcere di Spalato, nonché le condizioni della sua detenzione nelle carceri di Zagabria e di Spalato.
Nel dettaglio, durante il periodo di detenzione, per diversi giorni il ricorrente è stato collocato in una cella protetta privato dei suoi indumenti e legato ai polsi e alle caviglie. Lo Stato convenuto ha giustificato tali misure in ragione dello stato di agitazione in cui versava il detenuto, il quale sembrava voler attentare alla propria incolumità.
Il ricorrente ha fatto ricorso a Strasburgo lamentando che un trattamento di questo tipo è contrario all’art. 3 C.e.d.u. in quanto trattamento inumano e degradante.
Il giudice sovranazionale ha accolto il ricorso.
In particolare, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha evidenziato che le persone detenute si trovano in una posizione vulnerabile e che le autorità hanno il dovere di proteggerle. Ha inoltre ribadito, richiamando la precedente giurisprudenza europea (Valašinas v. Lithuania, n. 44558/98, § 102, ECHR 2001-VIII; Kudła v. Poland [GC], n. 30210/96, § 94, ECHR 2000-XI), che, in base all’articolo 3 C.e.d.u., lo Stato deve assicurare idonee garanzie affinchè le modalità di esecuzione della misura di privazione della libertà non sottopongano la persona a un disagio di un’intensità superiore al livello inevitabile di sofferenza inerente alla detenzione e che, date le esigenze pratiche della detenzione, la sua salute e il suo benessere siano adeguatamente garantiti (§ 32).
Nelle ipotesi di isolamento è la proporzionalità di questa misura e le condizioni dell’isolamento che possono essere discutibili ai sensi dell’articolo 3 C.e.d.u. (Ramishvili e Kokhreidze v. Georgia, n. 1704/06, § 82, 27 January 2009; Jashi v. Georgia, n. 10799/06, § 62, 8 January 2013). A questo proposito, la Corte europea ha sottolineato che gli Stati hanno l’obbligo positivo di adottare tutte le misure precauzionali per il benessere di un detenuto al fine di ridurre le possibilità di autolesionismo (§ 33).
Nel caso di specie il ricorrente è stato trattenuto in una cella di protezione per due periodi non consecutivi: la prima volta per dodici giorni nel gennaio 2012 e poi per cinque giorni nel febbraio 2012, la seconda volta con manette e cinture che gli trattenevano mani e caviglie.
I giudici di Strasburgo hanno evidenziato che se, da un lato, il collocamento di un detenuto agitato in una cella senza oggetti pericolosi può essere una soluzione adeguata per consentire al detenuto di calmarsi, tale scopo non può giustificare periodi prolungati di permanenza in celle speciali come, invece, avvenuto nel caso in oggetto (§ 37).
La Corte europea ha quindi osservato che se inizialmente potevano esserci validi motivi per collocare il ricorrente in una stanza appositamente protetta al fine di impedirgli di farsi del male, la sua permanenza in quella cella per periodi di tempo prolungati indica che lo scopo perseguito dalle autorità era punitivo e non può essere considerato giustificato dalle ragioni addotte dal Governo (§ 38).
Per quanto riguarda le condizioni nella cella, la Corte e.d.u. ha ricordato che privare un detenuto degli indumenti può suscitare sentimenti di paura, di angoscia e di inferiorità tali da umiliarlo e avvilirlo e che la privazione degli abiti avvenuta nel caso di specie ha ulteriormente aggravato la situazione già vulnerabile del ricorrente.
Sempre in relazione alle condizioni di detenzione, la Corte e.d.u. ha ritenuto contrario al principio di proporzionalità legare mani e caviglie del ricorrente, posto che lo stesso era stato già collocato in un spazio protetto e privo di oggetti e, dunque, in condizioni da non poter mettere in pericolo la sua incolumità (§ 40).
Sulla base di queste premesse, la Corte di Strasburgo ha sancito che la prolungata collocazione del ricorrente nella cella appositamente protetta nelle condizioni descritte per un periodo totale di 17 giorni abbia integrato un trattamento inumano e degradante e che, di conseguenza, si è profilata una violazione dell’art. 3 C.e.d.u. (§§ 41, 42).
La Corte e.d.u., nel condannare lo Stato convenuto, ha riconosciuto al ricorrente la somma di Euro 15.000 a titolo di danno morale per le sofferenze patite.
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