Pubblicato il 9 dicembre 2022
La Corte europea dei diritti dell’uomo non ha riscontrato la violazione da parte dell’Italia dell’art. 3 C.E.D.U., nella sua parte procedurale, in quanto le autorità italiane, pur effettuando delle operazioni investigative in modo piuttosto approfondito, hanno dovuto disporre l’archiviazione della querela poiché tardiva e sul rilievo che i reati di abusi sessuali su minorenni non erano procedibili d’ufficio in base della normativa vigente all’epoca dei fatti.
Nel caso di specie, le autorità italiane avevano ricevuto una querela per reati di violenza sessuale subiti dalla ricorrente e da sua sorella, all’epoca minorenni, ad opera dello zio. La ricorrente ha lamentato presso la Corte di Strasburgo la mancata tutela da parte delle autorità italiane della propria integrità psico-fisica in quanto il p.m. aveva richiesto l’archiviazione della sua querela per tardività della stessa e per impossibilità di procedere d’ufficio per tali reati in base alla normativa vigente in Italia.
In particolare, i fatti di violenza ai danni delle due minori erano stati commessi per un periodo piuttosto prolungato di tempo (oltre un decennio) quando le persone offese venivano affidate dai propri genitori allo zio ed erano emersi durante un percorso terapeutico che le stesse avevano seguito tempo dopo in Irlanda presso uno psicologo specializzato in abusi sessuali.
Presentata dalle vittime la querela in data 12 luglio 1999, il p.m. aveva poi richiesto l’archiviazione stante la tardività della querela sul rilievo che i fatti incriminati risalivano al periodo fra il 1974 ed il 1987.
Adita la Corte europea dalle persone offese, i giudici di Strasburgo, rifacendosi alla loro precedente giurisprudenza (X e altri c. Bulgarie, [GC], no 22457/16, §§ 176-178 et 184-192, 2 febbraio 2021), hanno preliminarmente ricordato che gli Stati, in ossequio agli obblighi positivi derivanti dall’art. 3 C.E.D.U., sono tenuti a condurre indagini efficaci per accertare i fatti e punire, se del caso, le persone ritenute responsabili (§ 66).
Alla luce di quanto emerso nel corso del giudizio nazionale, la Corte ha ritenuto sufficientemente plausibili le accuse mosse e che fosse, pertanto, sussistente l’obbligo in capo alle autorità interne di condurre un’indagine approfondita (§ 67). A tal proposito, la Corte ha osservato che il pubblico ministero italiano ha dato seguito alle accuse mosse dalle persone offese, ascoltando le stesse, la loro madre e facendo acquisire la relazione dello psicologo che seguiva le due ragazze (§ 69). Tuttavia, il p.m., pur evidenziando la gravità dei fatti (§ 70), aveva dovuto avanzare richiesta di archiviazione; richiesta successivamente accolta dal G.I.P., per tardività della querela.
Come chiarito dalla Corte di Strasburgo, i meccanismi penali devono essere interpretati in modo da tenere conto della condizione di particolare vulnerabilità della persona offesa minorenne vittima di abusi sessuali (§ 72) e l’intervento penale deve in questi casi, anche alla luce della Convenzione internazionale di Lanzarote e della Convenzione internazionale dei diritti del fanciullo, essere effettivo e corrispondere all’interesse superiore ed ai bisogni del minore.
La Corte europea non ha ritenuto violati gli obblighi gravanti in capo allo Stato italiano in base all’art. 3 C.E.D.U. in quanto gli organi inquirenti italiani hanno effettuato ogni atto che si poteva ragionevolmente svolgere, valutando attentamente le fonti di prova e cercando di accertare i fatti accaduti (§ 76). Invero, le condotte criminose avevano avuto luogo fra il 1974 ed il 1987 e, pertanto, non era possibile procedere d’ufficio per tali reati, in quanto la normativa era stata modificata in tal senso solo successivamente (ad opera cioè della l. 15 febbraio 1996, n. 66) (§ 82).
In particolare, dato che il fatto da cui trae origine la vicenda giudiziaria vede protagonisti passivi dei minori, i giudici sovranazionali hanno svolto ulteriori riflessioni circa la necessaria tutela che deve sussistere da parte delle autorità interne nei casi di abusi sessuali su minori. A questo proposito, i giudici europei hanno osservato che l’art. 3 C.E.D.U. va interpretato anche alla luce degli strumenti internazionali applicabili e, a tal proposito, essi hanno richiamato la Convenzione di Lanzarote e i conseguenti mutamenti normativi che, a livello interno, i singoli Stati hanno provveduto ad attuare (§ 81).
In questa prospettiva, per quanto concerne l’Italia, si colloca l’art. 609-septies c.p. introdotto dalla l. 15 febbraio 1996, n. 66 che, tra l’altro, prevede la procedibilità ex officio dei reati di atti sessuali con minorenne ove sussistano taluni presupposti nella stessa norma indicati (minori di 14 anni; fatti commessi da genitori o persone che devono svolgere funzioni di cura nei riguardi del minore; fatto commesso da pubblico ufficiale). Secondo i giudici sovranazionali, l'inapplicabilità ai fatti denunciati della legge n. 66 del 1996 essendo la stessa entrata in vigore dopo la commissione dei fatti e la non applicazione retroattiva della norma in questione non possono dirsi in contrasto con i diritti sanciti in Convenzione (§ 82). Invero – rileva la Corte EDU – trattandosi di una norma di natura mista, materiale e procedurale, che determina sia una condizione di esercizio dell’azione penale sia di sanzione, si impone l’applicazione dello standard più elevato favorevole all’autore del reato (Scoppola c. Italia (n. 2) [GC], 10249/03, §§ 110-113, 17 settembre 2009 (§ 84). In sintesi, l'obbligo procedurale derivante dall'articolo 3 C.E.D.U. non può essere interpretato nel senso che impone agli Stati di prevedere la retroattività di una nuova legge che elimina l’obbligo di sporgere denuncia (§ 84).
A questo proposito, la Corte europea ricorda che l’obbligo di svolgere un’indagine efficace è un’obbligazione di mezzi e non di risultato. Non esiste un diritto assoluto di ottenere l’apertura di un procedimento nei confronti di una determinata persona, o la sua condanna, quando non ci sono stati fallimenti biasimevoli da parte delle autorità interne negli sforzi per individuare i colpevoli (A, B e C c. Lettonia, n. 30808/11, § 149, 31 marzo 2016 e M.G.C. vs. Romania, cit., § 58) (§ 87).
In conclusione, i giudici di Strasburgo hanno valutato che l’intervento delle autorità italiane nel caso di specie si sia svolto con la diligenza richiesta dall’obbligo procedurale dell’art. 3 C.E.D.U. e all’unanimità hanno escluso la violazione dell’art. 3 C.E.D.U.
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