Pubblicato il 25 luglio 2022
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato la Grecia per violazione dell’art. 3 C.e.d.u., nel solo profilo processuale, essendo lo Stato greco venuto meno al suo dovere di indagare a proposito di reati di violenza fisica ad opera degli agenti di polizia durante l’arresto del ricorrente, non avendo attentamente esaminato i referti medici prodotti, né la testimonianza del ricorrente.
Nella fattispecie le autorità greche hanno respinto le doglianze del ricorrente senza aver preso in considerazione molteplici elementi probatori addotti dallo stesso fra cui i vari referti medici attestanti ecchimosi, lesioni, dolorabilità alla palpazione della parte inferiore di entrambi i lati del torace, una perforazione all’altezza dello stomaco, nonché la sua testimonianza.
La Corte di Strasburgo, richiamando l’art. 3 C.e.d.u. secondo cui nessuno può essere sottoposto a tortura o a trattamenti o punizioni inumani o degradanti, ha affermato che affinché il principio contenuto in tale articolo sia efficace a livello pratico, deve esistere una procedura che consenta di indagare sulle accuse di presunti maltrattamenti effettuati ad opera di agenti di polizia, atteso che tale principio si rivolge con particolare riguardo ai casi concernenti pubblici ufficiali (§ 67). Le garanzie di cui all’art. 3 C.e.d.u. implicano, dunque, che nel caso in cui vengano denunciate condotte di tortura o maltrattamenti ad opera di agenti di polizia, lo Stato ha l’obbligo di avviare un’indagine e tale attività investigativa deve essere effettiva (§ 68).
A tal fine, per poter essere effettiva e, dunque, rispettosa dell’art. 3 C.e.d.u., l’indagine deve essere realizzata secondo alcuni canoni e cioè le istituzioni ed i soggetti coinvolti devono essere indipendenti (§ 70), con ciò intendendosi non solo l’assenza di un legame gerarchico o istituzionale, ma anche una concreta indipendenza; le autorità inquirenti devono agire d’ufficio (§ 71); l’indagine deve essere approfondita. Il che presuppone un’attività da parte delle autorità nazionali volta all’effettiva ricostruzione di quanto avvenuto, non potendosi arrestare a conclusioni affrettate o infondate per chiudere sbrigativamente l’indagine, e, infine, la vittima deve poter partecipare efficacemente all’indagine stessa (§ 73). Inoltre, tale indagine deve essere in grado di determinare se l’uso della forza fosse giustificato o meno nelle circostanze particolari di un caso (§ 74).
Infatti, la Corte EDU, richiamando i propri precedenti, ha sottolineato che lo scopo essenziale perseguito attraverso indagini ti questo tipo è proprio quello di assicurare l’effettiva applicazione delle leggi che vietano la tortura, le pene ed i trattamenti inumani o degradanti nei casi in cui siano coinvolti agenti o organi dello Stato, assicurando che i responsabili siano tenuti a rendere conto dei maltrattamenti avvenuti sotto la loro responsabilità (§ 69).
Ne deriva un’esigenza di ragionevole tempestività e di diligenza nello svolgimento dell’attività investigativa. Sebbene, infatti, possano manifestarsi difficoltà che impediscono l’avanzamento dell’indagine in una situazione particolare, una risposta tempestiva da parte delle autorità quando si tratta di indagare sulle accuse di maltrattamento da parte di organi statali riveste necessariamente una funzione essenziale per salvaguardare la fiducia della collettività nel rispetto del principio di legalità ed evitare qualsiasi apparenza di complicità o tolleranza in relazione ad atti illeciti di tal tipo (§ 75).
La Corte, atteso che nell’indagine amministrativa i funzionari erano colleghi degli agenti di polizia sospettati di essere coinvolti, non essendo controllati da un’autorità indipendente (§ 79), e che, nell’indagine penale, i certificati medici non erano stati attentamente esaminati dalle autorità inquirenti (§ 82), ha rilevato la violazione dell’art. 3 C.e.d.u.
Inoltre, al momento del suo arresto e arrivo in carcere il ricorrente non era stato sottoposto ad alcuna visita medica. Tuttavia, tale esame sarebbe stato necessario sia al fine di valutare se l’interessato poteva essere sottoposto o meno ad interrogatorio, sia in caso di accusa di trattamento contrario all’articolo 3 della Convenzione, come nel caso de quo, al fine di provare da parte delle autorità di non aver maltrattato il detenuto (§ 83).
La Corte EDU ha ulteriormente ribadito che, in tali casi, l’onere della prova ricade sullo Stato membro, il quale risulta tenuto a fornire una spiegazione soddisfacente e convincente producendo prove che stabiliscano fatti che mettano in dubbio il resoconto della vittima.
Quanto al profilo sostanziale dell’art. 3 C.e.d.u. concernente le accuse di maltrattamento durante l’interrogatorio per ottenere una confessione, la Corte di Strasburgo ribadisce preliminarmente che il divieto di tortura o di trattamenti o punizioni inumani o degradanti è assoluto, trovando applicazione a prescindere dal tipo di reato contestato all’accusato (§ 95). Inoltre, la Corte e.d.u. chiarisce che per l’accertamento di fatti di tortura il parametro è costituito dal criterio della prova “al di là di ogni ragionevole dubbio”. Ne deriva che non è stata riscontrata la violazione dell’art. 3 C.e.d.u. nel suo profilo sostanziale non avendo il ricorrente addotto prove sufficienti a tal fine, non presentando referti medici relativi al periodo in quesitone.
Lo Stato greco è stato condannato al pagamento della cifra di euro 10.000 nei riguardi del ricorrente a titolo di equa soddisfazione per il danno morale subito.
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