Pubblicato il 26 ottobre 2023
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha riscontrato una violazione dell’art. 5 § 3 della Convenzione europea da parte della Polonia poiché la ricorrente è stata sottoposta a custodia cautelare per un periodo eccessivo non giustificato da apprezzabili esigenze cautelari.
Il caso riguarda l’eccessiva durata della detenzione preventiva della ricorrente, sottoposta ad indagini preliminari per i reati di frode e riciclaggio.
La detenzione preventiva di quest’ultima è stata disposta il 15 aprile 2013 ed è stata poi successivamente prorogata ad intervalli regolari. L’indagata è stata rilasciata soltanto il 23 settembre 2021.
Tutte le decisioni di proroga della detenzione si basavano sui seguenti motivi.
In primo luogo, a parere dei giudici interni era probabile che sarebbe stata inflitta una pena severa, data l'entità dell'attività criminale nella quale la ricorrente era sospettata di essere coinvolta. Inoltre, i giudici presumevano che l’indagata potesse interferire con il corretto svolgimento del procedimento.
In numerose occasioni le autorità nazionali hanno esaminato le doglianze della donna secondo cui la detenzione continuata costituiva una violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo; tuttavia, ritenevano che le proroghe fossero state concesse solo per il periodo necessario alla conclusione del processo e che la durata complessiva della detenzione non fosse stata irragionevole, anche tenendo conto della particolare complessità del processo, nell’ambito del quale i giudici erano chiamati ad accertare la presenza di schemi di frode di tipo piramidale.
La ricorrente ha presentato ricorso, senza successo, contro tutte le decisioni che prorogavano la sua detenzione ed ha quindi fatto ricorso a Strasburgo sostenendo che la durata della sua custodia cautelare era stata eccessiva e irragionevole.
Il ricorso è stato accolto.
La Corte e.d.u. ha evidenziato che, nel decidere di tenere in detenzione la ricorrente nel corso del procedimento contro di lei, le autorità si sono basate ripetutamente su tre motivi principali oltre al ragionevole sospetto nei confronti della ricorrente, vale a dire la gravità dei reati di cui era stata accusata, la gravità della sanzione di cui era passibile e la necessità di garantire il corretto svolgimento del procedimento in considerazione del rischio che il ricorrente potesse interferire con il suo svolgimento (§ 94).
I giudici sovranazionali hanno sottolineato come il ragionevole sospetto che la ricorrente avesse commesso i reati gravi sopra menzionati avrebbe potuto giustificare il suo arresto iniziale e hanno ribadito che la persistenza di un ragionevole sospetto che il detenuto abbia commesso un reato è una conditio sine qua non per la validità della sua detenzione continuata.
Tuttavia, la Corte e.d.u. ha pure rilevato che quando le autorità giudiziarie nazionali esaminano per la prima volta, “subito” dopo l’arresto, se porre l’arrestato in custodia cautelare, quel sospetto non è più sufficiente, e le autorità devono fornire anche altri motivi pertinenti e sufficienti per giustificare la detenzione. Questi altri motivi possono essere il rischio di fuga, il rischio di pressioni sui testimoni o di alterazione delle prove, il rischio di collusione, il rischio di recidiva, o il rischio di disordine pubblico e la connessa necessità di tutela dei cittadini detenuti (§ 96).
Secondo le autorità, la probabilità che alla ricorrente venisse inflitta una pena pesante era il motivo principale per cui continuava la sua detenzione. In prospettiva diversa, la Corte e.d.u. ha ribadito che sebbene la severità della pena inflitta sia un elemento rilevante nella valutazione del rischio di fuga o di recidiva, la gravità delle accuse non può di per sé giustificare lunghi periodi di detenzione preventiva Inoltre, il rischio di pressioni sui testimoni non può basarsi solo sulla probabilità di una pena severa, ma deve essere collegato a fatti concreti (§ 97).
In definitiva, la Corte di Strasburgo, pur tenendo conto del fatto che i tribunali si sono trovati di fronte al compito particolarmente difficile di giudicare un caso complesso riguardante uno schema piramidale, ha concluso che il periodo complessivo di detenzione del ricorrente è stato eccessivo poiché i tribunali si sono basati su motivi che non possono essere considerati “sufficienti” per giustificare la sua intera durata (§ 100), e che pertanto vi è stata una violazione dell’articolo 5 § 3 della Convenzione europea.
La Corte e.d.u. ha quindi condannato la Polonia al pagamento della somma complessiva di euro 6.500 a favore della ricorrente a titolo di ristoro economico per il danno subito.
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