Pubblicato il 14 settembre 2023
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto violato da parte dell’Italia l’art. 6 §§ 1 e 3 C.e.d.u. poiché il ricorrente è stato sottoposto a processo penale e condannato in assenza. Una volta estradato nel territorio italiano, il ricorrente si è visto privare del suo diritto ad ottenere un procedimento ab initio, ad accedere al rito abbreviato, nonché ad eccepire l’incompetenza territoriale.
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha riscontrato la violazione dell’art. 6 §§ 1 e 3 C.e.d.u. per violazione del principio di equità processuale. Più precisamente, il Sig. Shala, cittadino kosovaro, era stato sottoposto a procedimento penale per reati di droga, ma le autorità italiane non erano riuscite a reperirlo poiché lo stesso risultava residente presso un indirizzo sconosciuto in Bratislava. Di conseguenza il Sig. Shala veniva dichiarato assente e rinviato a giudizio presso il tribunale di Milano ove veniva riconosciuto colpevole dei reati contestati e condannato.
In seguito il ricorrente veniva arrestato dalle autorità albanesi e, una volta estradato in Italia, impugnava la sentenza di condanna affermando di essere venuto a conoscenza del giudizio celebrato nei suoi confronti solamente al momento dell’arresto. Avanzava, quindi, richiesta di riapertura del processo ab initio, nonché di essere giudicato secondo il rito abbreviato. Inoltre, l’imputato eccepiva l’incompetenza territoriale del tribunale di Milano.
Sia la Corte di appello milanese, sia la Corte di cassazione respingevano le doglianze del ricorrente confermando la pronuncia di condanna.
Pertanto, il Sig. Shala proponeva ricorso presso la Corte di Strasburgo lamentando di essere stato condannato in assenza senza aver avuto conoscenza del processo pendente a suo carico e di non aver avuto una reale ed effettiva opportunità di difendersi dinanzi ai tribunali italiani, in violazione dell’art. 6 §§ 1 e 3 C.e.d.u.
Il giudice sovranazionale, richiamando i propri precedenti giurisprudenziali sul punto (Sejdovic c. Italia [GC], n. 56581/00, §§ 81-95, CEDU 2006-II, e Huzuneanu c. Italia, n. 36043/08, §§ 47-48), ha chiarito che nel caso specifico non sono emersi nel corso del giudizio interno elementi che dimostrino inequivocabilmente che il ricorrente fosse a conoscenza del procedimento contro di lui e che abbia volontariamente deciso di sottrarsi al processo.
Come ricordato dalla Corte europea, in questi casi è necessario valutare se il ricorrente, condannato in assenza, abbia avuto una concreta opportunità di ottenere un nuovo esame sulla fondatezza delle accuse mosse a suo carico da un tribunale potendo far efficacemente valere il suo diritto di difesa (cfr. Sejdovic c. Italia, cit., § 105, e Rizzotto c. Italia (n. 2), n. 20983/12, §§ 53-54, 5 settembre 2019).
In tale prospettiva, rilevato che il Sig. Shala non ha avuto la possibilità né di ottenere la riapertura del processo, né di accedere al rito premiale dell’abbreviato, la Corte di Strasburgo non ha ritenuto rispettati i dettami dell’art. 6 C.e.d.u. (15-18).
Nel dettaglio, il vulnus al diritto di difesa risulta evidente dal fatto che il ricorrente abbia potuto far valere le proprie ragioni unicamente in sede di appello ove, alla luce delle diverse preclusioni e limitazioni che contraddistinguono tale fase, non risulta essere stata effettuata alcuna attività istruttoria: ad esempio non si è provveduto all’ascolto dell’imputato.
Per di più, ad opinione della Corte europea, la nomina di un avvocato di ufficio non sembra costituire una sufficiente garanzia in caso di condanna conseguente ad un processo celebrato interamente in assenza (§ 16) (Huzuneanu c. Italia, cit., §§ 47-49).
Infine, un ulteriore elemento messo in rilievo dal giudice sovranazionale è stato la mancata possibilità fornita al ricorrente di eccepire efficacemente l’eventuale incompetenza del tribunale che lo ha giudicato. Invero, siffatta circostanza è stata in più occasioni ritenuta rilevante per stabilire l’equità complessiva del procedimento ai sensi dell’art. 6 § 1 C.e.d.u. (cfr. Richert c. Polonia, n. 54809/07, § 41, 25 ottobre 2011, e Jorgic c. Germania, n° 74613/01, § 64, CEDU 2007-III).
Alla luce di tali considerazioni la Corte di Strasburgo ha ritenuto violato l’art. 6 §§1 e 3 C.e.d.u. (§§ 17-18) e condannato l’Italia alla refusione delle spese processuali nei confronti del ricorrente.
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